L’isolamento forzato ci ha spinti a trovare conforto nella compagnia di opere d’arte di varia forma e natura, che siano esse film, libri, canzoni o quadri. Abbiamo sentito il bisogno di rifugiarci nella catarsi artistica per trovare in essa il sollievo alla solitudine spirituale indotta dalla quarantena.
Complici sicuramente anche le importanti iniziative di gallerie, musei e artisti di varia natura che hanno cercato di rendere fruibili le opere d’arte anche online, facendo passare un grande messaggio in un momento sicuramente delicato e colmo di incertezza: l’arte non ci abbandona.
Se la solitudine interiore è il leitmotiv spirituale di questo periodo, non si può non ricordare che spesso è proprio così che si libera il genio creativo. A tal proposito, un ottimo compagno è sicuramente Vincent Van Gogh che con il linguaggio del corpo, espresso umanamente nelle sue tele, cattura e non tradisce le vere emozioni di cui vive il mondo moderno. “Il vecchio che soffre” è un’opera d’arte che, contestualizzata nella nostra realtà, rappresenta perfettamente il dramma della quarantena e dell’emergenza sanitaria. Un’opera che esprime anche la contraddizione umana, perché la solitudine interiore è spesso vissuta come una condanna, ma è in realtà anche una liberazione necessaria a esprimere, proprio come per Van Gogh, il genio creativo.
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La pandemia ci ha costretti in casa e con la quarantena i nostri balconi e le nostre finestre sono diventati lo strumento per osservare, distanti, la realtà. A scoprire le finestre o i balconi come strumento con forte carica emotiva e simbolica, però, non siamo certo stati noi. Opere d’arte quali quelle di Hopper, Dalì e Magritte e, prima ancora, Vermeer e Murillo pittori che «hanno dipinto tele che ritraggono persone intente a guardare dalla finestra, una condizione a cui siamo costretti tutti noi in questo momento di quarantena. Ne scaturisce la rappresentazione di sentimenti come la solitudine, il sogno, la malinconia, la curiosità e la voglia di evadere […]», come ci ricorda Ida Bini in un articolo pubblicato su Ansa.
Quindi, la “Condizione umana” di René Magritte è un’opera d’arte multipla dalla grande carica emotiva, che in questo periodo di quarantena non si può non riscoprire: la percezione umana è infatti incerta poiché costantemente in balia degli eventi, in un libo che oscilla tra immaginazione e realtà.
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In quarantena le opere d’arte prendono anche vita: il Getty Museum di Los Angeles ha lanciato infatti una challenge che mira a ricreare da casa celebri dipinti. Un’iniziativa che ha avuto grande successo e che sicuramente ha impegnato il nostro tempo in modo divertente e originale, sottolineando, ancora una volta, come la compagnia dell’arte possa essere motivo di sollievo e divertimento. «Un esperimento sociale» dice Alberto Brigidini, «che ha sottolineato una volta di più come la creatività alberga in molti di noi. Va solo stimolata e incoraggiata».
Negli ultimi tempi ci ha tenuto compagnia anche Banksy, le cui creazioni sono sempre ricolme di significato. Dopo l’invasione dei topi nel bagno di casa, è apparso, davanti all’ospedale di Southampton un’opera d’arte che celebra il sacrificio del personale sanitario, un omaggio a medici e infermieri che sono in prima linea nella lotta contro il Coronavirus. L’opera si intitola “Game Changer” e rappresenta un bimbo che ripone nel cesto dei giocattoli, i supereroi Batman e l’Uomo Ragno, preferendone uno nuovo: un’infermiera con il grembiule della Croce Rossa, la mascherina e un mantello, a sottolineare come i veri supereroi siano adesso loro.
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Chiaramente per opere d’arte non s’intende solo quadri e dipinti: negli ultimi mesi in tanti hanno letto – o riletto – “La peste”, il celebre romanzo dello scrittore francese Albert Camus. Un’opera che spiega come non ci sia via d’uscita quando, davanti alla morte, mostriamo tutti, indistintamente, fragilità e apprensione. Proprio per questo, secondo lo scrittore, dovremmo lavorare per migliorarci e alleviare così le sofferenze altrui.
Illuminante è stato anche il capitolo 31 de “I promessi sposi” in cui viene raccontata la peste del Seicento: «La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia». Un capitolo che sicuramente non tutti ricordavamo, ma che è risuonato prepotentemente sui social, offrendoci innumerevoli spunti di riflessione.
In un momento come questo, per gli amanti dei viaggi è sicuramente deprimente e sconfortante non poter visitare nuovi luoghi e scoprire nuove culture. Allora perché non alleggerire i pensieri con degli ottimi romanzi che descrivono paesi lontani? Se si ama o ci incuriosisce la cultura celtica e abbiamo in programma un viaggio in Irlanda, un’ottima e inconsueta guida è il diario di viaggio scritto da Hans Tuzzi “In Irlanda, il paese dei sognatori”, che ci restituisce un’Irlanda insolita e sorprendente, fondendo la mera descrizione di luoghi celebri alle emozioni che gli stessi provocano nel visitatore. Se invece si vuol pensare più in grande, il romanzo di Corrado Ruggeri “Farfalle sul Mekong: tra Thailandia e Vietnam” ci catapulta nel Sud Est asiatico, raccontato da lui con lo stile di un giornalista attento e minuzioso, ma anche semplice e scorrevole.
Restando in tema di libri, perché non rispolverare anche grandi classici quali “Il nome della rosa” di Umberto Eco, “1984” di George Orwell, gli scritti di Isabel Allende, o gli intramontabili romanzi di Luis Sepulveda recentemente scomparso e, magari, farsi fare compagnia anche dall’eccezionale Gabriel Garcìa Marquez con il suo “L’amore ai tempi del colera”?
Al tempo di Netflix ed Amazon Prime video, non manca sicuramente la compagnia di grandi film, vere e proprie opere d’arte, utili ad allievare il peso della quarantena. Dai film impegnati con temi quali virus, contagi e pandemie, chiaramente molto attuali, ai grandi classici di Stanley Kubrick; da “La grande bellezza” di Sorrentino, in cui Jap Gambardella freneticamente alla ricerca dell’autenticità più pura incappa in un viaggio fatto di maschere, apparenze e malinconia che ha ben poco di poetico, fino all’intramontabile trilogia di Robert Zemeckis “Back to the future”, per viaggiare assieme a Marty e al Dott. Emmet Brown in una Hill Valley immaginaria ma mai scontata. Sicuramente un cult che, mescolando perfettamente fantascienza e commedia, a quasi 40 anni dalla prima uscita, risulta ancora oggi appassionante per grandi e piccoli.
Ecco dunque che la funzione catartica dell’arte, ovvero l’effetto positivo sullo spettatore descritto anche da Aristotele in un passo della “Politica”, viene oggi riscoperto più che mai.
Martina Guadalti