Gabriel Garcìa Màrquez: realismo magico e passione

Dal mondo fantasmagorico della città di Macondo in “Cent’anni di solitudine” alla passione smisurata e sempiterna di Florentino Ariza per Fermina Daza in “L’amore ai tempi del colera”, dalla rinascita senile grazie all’attrazione fatale per un’adolescente in “Memoria delle mie puttane tristi” al racconto allegorico e fatalmente bizzarro di “Cronaca di una morte annunciata”: si annida in questi romanzi la dimensione poetica onirica e chimerica, dai toni esuberanti, satirici, burleschi, sardonici, ma anche sommessamente romantici di uno degli autori più importanti nello scenario della letteratura latinoamericana e mondiale: Gabriel Garcìa Màrquez.

Gabriel Garcìa Màrquez

Lo scrittore, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1982 grazie all’opera “Cent’anni di solitudine”, è padre e iniziatore della tecnica letteraria del realismo magico, in virtù della quale gli elementi fantastici e irreali penetrano con la loro ingombrante, ma significativa presenza nel mondo reale e tangibile, stravolgendo le dinamiche dei fatti contingenti, come testimonia il suddetto scritto. E proprio “Cent’anni di solitudine”, oltre a narrare le vicende della stirpe Buendía sullo sfondo della Colombia ottocentesca in balia delle guerre civili, pone all’attenzione del lettore l’inconfessata e recondita solitudine che accompagna l’uomo in tutte le sue azioni, le sue vicissitudini, i suoi sentimenti. Il covo di speranze, sogni e desideri della famiglia Buendía urta e si sgretola di fronte alle manovre parossistiche e spietate della realtà. Realtà che induce all’estatica contemplazione della propria solitudine, all’accettazione di essa e alla definitiva rinuncia alla languida e malinconica dimensione delle illusioni.

“Le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra.”

Gabriel Garcìa Màrquez

Ma l’amore dal potere obnubilante e annichilente, l’amore che, imperterrito, resiste all’azione distruttrice del tempo, l’amore che non si dissolve di fronte alle prosaiche accidentalità, ma le annulla all’ombra della sua possente veemenza trova spazio nell’opera “L’amore ai tempi del colera”

“Capita che sfiori la vita di qualcuno, ti innamori e decidi che la cosa più importante è toccarlo, viverlo, convivere le malinconie e le inquietudini, arrivare a riconoscersi nello sguardo dell’altro, sentire che non ne puoi più fare a meno… e cosa importa se per avere tutto questo devi aspettare cinquantun anni nove mesi e quattro giorni, notti comprese?”

Del resto, “l’amore ha gli stessi sintomi del colera”, infiammando l’anima, inducendo a compiere azioni sotto lo spettro ottenebrante della follia, sconosciute allo squallido e scialbo “mondo dei sani”. Sebbene il corpo peregrini verso tante mete, percorra tante direzioni, si diriga da innumerevoli corpi, l’amore, alimentato dalla speranza, non muore.

“Si può essere innamorati di diverse persone per volta, e di tutte con lo stesso dolore, senza mai tradirne nessuna. Il cuore ha più stanze di un bordello.”

Gabriel Garcìa Màrquez

Il cuore ha più stanze di un bordello anche nel momento in cui al compimento dei 90 anni, “decisi di regalarmi una notte d’amore folle con un’adolescente vergine”, come avviene in “Memoria delle mie puttane tristi”.

Un giornalista squattrinato, intellettuale dai toni vagamente bohemien, perdendo una scommessa con se stesso, si innamora perdutamente di una ragazzina di appena quattordici anni scoprendo

“il piacere inverosimile di contemplare il corpo di una donna addormentata senza le urgenze del desiderio o gli intralci del pudore.”

“Passai anche una settimana senza togliermi la tuta da meccanico né di giorno né di notte, senza farmi un bagno, senza radermi, senza lavarmi i denti, perché l’amore mi aveva insegnato troppo tardi che ci si rassetta per qualcuno, ci si veste e ci si profuma per qualcuno, e io non avevo mai avuto qualcuno per farlo.”

Gabriel Garcìa Màrquez

È così che Gabriel Garcìa Màrquez con la cronistoria dettagliata dell’amore, dei sentimenti, accompagnata da tenace e fervente ironia, sullo sfondo sempiterno della sua terra natia, attraverso migliaia di parole scritte ha sovvertito gli schemi della letteratura, restituendo il prestigio tanto meritato all’attività letteraria dell’America latina.

Clara Letizia Riccio

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