Tarantola, un mosaico di radici, tecniche e linguaggi sonori
Fonte: Sollevante Press Office

One Blood”, pubblicato da The Sound of Everything e distribuito via The Orchard lo scorso maggio, è l’evoluzione organica del lavoro intrapreso dai Tarantola, collettivo guidato da Mauro Lacandia, tra Londra e Salento. Nato nel 2018 come ponte tra culture diverse, il progetto unisce il reggae roots, dub, dancehall, soul e le percussioni della taranta salentina, trasformando ogni traccia in un’esperienza polifonica.

Registrato e prodotto all’interno del loro “Tarantolab” londinese, “One Blood” ha un sound caldo e pulito, con il mix e mastering curato da Manuel Scaramuzzino, capace di conferire coesione a uno spettro stilistico ampio e ricco di ospiti come Daddy Freddy, Awa Fall, Sabaman, Papa Leu, Brass Brothers. I brani affrontano storie di migrazione, resilienza e coesione culturale: da “Original Terron”, che ribadisce con fierezza le origini meridionali, a “Reggae Beat”, riflessione sull’amore e potenza unificatrice della musica, fino alla title-track “One Blood” che esorta a riconoscere “un solo sangue” per superare i pregiudizi.

Questo lavoro è una dichiarazione di identità: un mix di produzioni digitali e registrazioni dal vivo, featuring internazionali e testi multilingua, che riflettono un’estetica sonora fondata sull’ibridazione e sull’unione. Abbiamo posto a Mauro Lacandia, cantante e fondatore dei Tarantola, cinque domande sul senso profondo di questo progetto e su come si è sviluppato a livello artistico.

Original Terron” è un brano potente, che mescola orgoglio, ironia e senso di appartenenza. Com’è nata l’idea del testo? Che significato ha per voi Tarantola cantare in dialetto e inglese nella stessa canzone?

«L’idea è nata dalla voglia di ribaltare, con fierezza ed ironia, alcuni stereotipi legati alla provenienza geografica. Essendo cresciuto lontano dal Sud, spesso e volentieri, mi hanno insultato con il termine “terrone”. Per troppo tempo tale vocabolo è stato, purtroppo, utilizzato con il fine di umiliare chi è, come noi, originario dell’Italia meridionale. Con questo brano, noi Tarantola, rivendichiamo le nostre origini, donando a questa parola dispregiativa una nuova accezione. L’essere meridionale implica avere radici profonde e dignità. Mescolare il dialetto e la lingua inglese è il marchio di fabbrica di noi Tarantola, ci viene naturale. Rappresenta chi siamo: proveniamo dal Salento ma siamo cittadini del mondo, siamo ancorati al passato con uno sguardo al presente. È la nostra lingua, un linguaggio emotivo che va dritto al cuore.»

In “Reggae Beat” si parla di amore, musica e spiritualità. Awa Fall ha una voce intensa e magnetica: com’è stato collaborare con lei? La canzone è nata insieme in studio oppure a distanza?

«Collaborare con Awa Fall è stato del tutto naturale e spontaneo. La sua voce è pura, la sua energia ha dato al brano una dimensione ancora più intima. “Reggae Beat” è nato a distanza: noi Tarantola le abbiamo inviato una bozza con l’idea, Awa ha subito capito qual era la giusta direzione da intraprendere. È una canzone che unisce un messaggio del cuore con la forza di un ritmo incalzante.»

One Blood”, che dà il titolo all’album, invita a sentirci parte di un’unica umanità. Quanto è importante per voi Tarantola, oggi, lanciare un messaggio del genere attraverso la musica?

«È più importante che mai! Viviamo tempi in cui le divisioni sembrano aumentare: per questioni linguistiche, relative il colore della pelle, la provenienza, l’orientamento sessuale e politico.“One Blood è un richiamo all’essenza, a quello che ci unisce davvero. La musica ha il potere di oltrepassare i confini, noi vogliamo usarla con lo scopo di unire. Il nostro intento è unificare gli ascoltatori in un unico battito: umano, condiviso e indivisibile.»

L’album contiene molti stili diversi: reggae, soul, taranta, dub. Come riuscite, voi Tarantola, pur mescolando tante influenze diverse, a mantenere un’identità forte? È qualcosa che nasce in modo spontaneo o è frutto di ricerca?

«Nasce da entrambe le cose. Da un lato ci viene spontaneo: è il nostro modo naturale di vivere la musica, senza confini di genere. Dall’altro, da parte di noi Tarantola, c’è una grande cura nella scelta dei suoni, delle metriche, dei testi. L’identità forte viene dal messaggio, dall’impegno che mettiamo in fase creativa . È come se parlassimo tante lingue diverse con un’unica voce.»

Il disco è pieno di collaborazioni, tra voci, strumenti e culture. Quanto conta per voi il lavoro collettivo? Cosa vi portate a casa da ogni artista che partecipa ai vostri brani?

«Il collettivo è al centro del progetto Tarantola. Crediamo nel potere della condivisione, nell’incontro tra mondi diversi. Ogni artista porta un pezzo di sé, un bagaglio unico di suoni, esperienze e visioni. Da ognuno impariamo un qualcosa: uno stile, un modo di sentire la musica, una storia. E così che il nostro suono cresce, si arricchisce, resta vivo

Vincenzo Nicoletti

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