Il governo che verrà: la Germania di Merz fra Europa e AfD
Fonte immagine: FMT

La CDU torna alla vittoria per la prima volta dal dopo Merkel. Il primo dato su cui basare un’analisi delle recenti elezioni tedesche è proprio questo. I cristiano-democratici ritorneranno, molto probabilmente, alla guida della Germania diversi anni dopo la fine del dominio dell’ex cancelliera e figura di spicco della politica europea, Angela Merkel.

Dopo il disastro del suo successore, Armin Laschet, la CDU-CSU ha una nuova occasione. Il risultato ottenuto alle ultime elezioni non fa sicuramente sorridere – è il secondo peggior risultato di sempre del partito – ma ciononostante è la prima formazione politica della Germania e, di conseguenza, l’unica in grado di formare un nuovo governo. Friedrich Merz, nuovo leader e volto della CDU – e futuro cancelliere – si ritrova davanti ad una sfida cruciale: rilanciare il ruolo della Germania in un continente sempre più orfano della sua leadership. E dovrà farlo vedendosela con una crisi nera dell’unità d’Europa e con la crescita smisurata di AfD.

Infatti, subito dietro alla CDU di Merz si posiziona proprio AfD, che lo scorso 23 febbraio ha registrato un risultato storico: 152 seggi, 20,8% dei voti e secondo posto – ad enorme distanza dalla deludente SPD, dietro ai cristiano-democratici. Una scure che si abbatte sulla stabilità politica della Germania e un ritorno alla storica divisione in blocchi. Questa volta, però, non c’è il fantasma del nemico esterno – dell’URSS – bensì un Paese spaccato in due politicamente: l’ovest nelle mani della CDU, l’est completamente assuefatto dall’estrema destra.

Delude la SPD, coinvolta comunque nei colloqui per un nuovo governo, una “Große Koalition” per escludere l’estrema destra da ogni velleità governativa. Il fallimento della leadership di Olaf Scholz, ex cancelliere e da due anni a questa parte completamente in ombra – complici le difficoltà economica della Germania – ha avuto gravi conseguenze sul ruolo continentale della locomotiva europea. Rispetto all’ultimo appuntamento elettorale del 2012, i socialdemocratici hanno perso circa 9% punti percentuali e ora restano scettici sull’opportunità di diventare una – necessaria – stampella di Merz.

Le elezioni tedesche lasciano aperti enormi quesiti circa il futuro della Germania. Una serie di interrogativi a cui Friedrich Merz, futuro cancelliere, sarà obbligato a dare seguito. Berlino trama il ritorno sulla scena europea, ma il momento è delicato: all’Europa manca tanto una leadership in grado di traghettarla fra i mari mossi della politica internazionale – come lo è stata per ben 15 anni la Germania di Angela Merkel – ma in un contesto di riarmo e in vista del ritorno dell’imperialismo russo e dell’unipolarismo americano, servirà qualcosa in più degli interventi “erbivori” di una Germania che ha paura del debito e parla di “conti in ordine”.

Il ritorno della CDU e la sfida di Merz

Mentre le trattative con la SPD proseguono (con un primo formale accordo di governo), nelle sue prime dichiarazioni Merz ha affermato e ribadito il sostegno tedesco alla causa ucraina ma ha anche affermato come la Germania debba recuperare il suo ruolo di locomotiva europea, insistendo come l’Europa debba consolidarsi sullo scenario internazionale. Ha parlato anche di migranti, ponendo un accento su una politica migratoria più severa, totalmente in controtendenza con quanto fatto dal suo partito durante gli anni di governo di Angela Merkel.

Tra i due volti della CDU, passato e presente, non c’è mai stato buon sangue. Per anni la stella dell’iron lady tedesca ha oscurato la stella nascente del cancelliere in pectore Merz. Anche dopo il suo ritiro dalla scena tedesca, per due volte, l’ex presidente della CDU ha favorito l’elezione di tutti quei candidati che sfidavano proprio Merz alle primarie, fra cui Armin Laschet. Una serie di mosse queste che hanno fortemente indebolito il partito, in quanto i pupilli di Angela Merkel non sono mai riusciti a raccogliere la sua eredità.

La campagna elettorale di Merz si è concentrata molto sull’immigrazione alimentando le voci di una comunanza ideologica, almeno su questo aspetto, con l’altro partito molto affezionato al tema: AfD. Dopo l’accoltellamento, avvenuto a fine gennaio, di due cittadini tedeschi (fra cui un bambino) da parte di un richiedente asilo afghano che avrebbe dovuto lasciare il Paese, Merz aveva proposto una severissima riforma di legge sull’immigrazione trovando il plauso e l’appoggio proprio del partito di estrema destra. Il progetto è stato bocciato dal Bundestag che ha preferito virare su una mozione simbolica ma l’episodio è stato più volte usato per redarguire il cancelliere in pectore, il quale aveva rotto quel “cordone sanitario” che esiste fra i partiti moderati e l’estrema destra che sancisce come non si debba collaborare o allearsi con AfD.

Nonostante ciò, anche alla base dell’accordo di massima con la SPD si parla di immigrazione di “controlli più severi” alle frontiere e, assieme alla politica fiscale, è stato definito da Merz come “punto cardine” della Germania che verrà. In molti hanno sottolineato come la differenza principale fra la CDU del presente e quella di Angela Merkel sia principalmente una: la virata a destra. Un punto il quale emerge chiaramente dai punti focali elencati nel suo programma elettorale: allentamento della politica fiscale per favorire il riarmo – un tema che nei quindici anni di predominio dell’ex cancelliera sembrava scolpito nella pietra – e l’enfasi sui controlli migratori e soprattutto sui respingimenti.

Sullo sfondo resta il ruolo che questa “nuova” Germania occuperà sulla scena Europea. I dossier sul tavolo del futuro cancelliere sono numerosi e scottanti: dal riarmo all’unità continentale, senza considerare la fine – o l’allentamento – del privilegiato rapporto con gli Stati Uniti e la Nato. E ora che la leadership tedesca sembra un po’ ammaccata, le scelte del prossimo governo saranno cruciali per comprendere sin dove si spingerà il coraggio di questo governo.

La biografia politica di Merz parla anche di come durante il suo apprendistato da eurodeputato, si sia concentrato sul perfezionamento del mercato comune e su un approccio europeo – e non dei singoli stati – alle vicissitudini economiche come salari e prezzi e di un esercito comune. Ovviamente le necessità elettorali hanno fatto un può evaporare il suo afflato europeista, ma alcune recenti dichiarazioni lasciano intendere che di Europa se ne occuperà sul serio, soprattutto sulle questioni che cercheranno di rendere più “indipendenti” gli stati europei dagli USA di Trump.

Il pericolo AfD

E poi ci sono le beghe interne. Il Paese è diviso in due e non da un muro di cemento bensì dal voto. La Germania orientale è letteralmente nelle mani di AfD che in alcune regioni ha raggiunto percentuali di consenso “bulgare”. Al Paese servirà un governo forte e resiliente, capace di attuare riforme efficaci per disinnescare la forza di un partito che resterà all’opposizione, cioè in quel catalizzatore del consenso che ha fatto la fortuna di altri leader europei.

Per il secondo anno consecutivo, la Germania ha registrato un segno meno alla crescita, entrando in recessione. Il Covid prima e la guerra in Ucraina hanno privato la Germania dei pilastri fondamentali su cui si reggeva la sua stabilità e la sua influenza e che la teneva al sicuro da malcontenti rapidamente trasformatisi in partiti anti-sistema come AfD e Linke (che in questa tornata ha raggiunto quasi il 9%). Dall’austerità fiscale all’energia a poco prezzo garantita dal gas russo, il rapido frantumarsi di queste certezze – unite alla messa in discussione, da parte degli americani, del fruttuoso export verso la Cina – ha portato gli elettori tedeschi ad aumentare la percezione di un Paese instabile ed economicamente precario, due “sensazioni” nuove, soprattutto per quelle generazioni che hanno beneficiato dei rapidi progressi economici degli ultimi trent’anni. Anche la crisi dell’industria automobilistica, in particolare di Volkswagen, ha accelerato questo processo.

Il malcontento crescente è stato subito capitalizzato da AfD, che ha investito su una narrazione socio-culturale ed economica (i suoi fondatori non sono altro che economisti euroscettici) in un Paese dove la stabilità finanziaria è più importante delle altre e facendo leva su divisioni intestine esistenti ma tenute a bada dal benessere generalizzato e, nel caso, fagocitato comunque dai grandi partiti. Ma la messa in discussione, comprovata dalla crisi delle catene di approvvigionamento globali, ha fortemente indebolito anche la capacità della classe dirigente delle due grandi formazioni politiche di risultare credibili agli occhi degli elettori. Non si può analizzare la “storia” di AfD senza tenere conto del mutamento delle congiunture economiche globali.

Questa dinamica è viva soprattutto nei Lander orientali, in cui il ricordo della povertà è più vivo, così come le conseguenze della de-industrializzazione post-riunificazione, ed è qui che AfD ha ottenuto i risultati migliori – e non è nemmeno un caso che le prime elezioni le abbia vinte proprio in Turingia. Qui, la narrazione di un’UE schiava delle élite globaliste e di un declino economico imposto dall’esterno e dalle grandi organizzazioni internazionali rette da filantropi come Soros, trovano il terreno più fertile. Ed è qui che si consumerà la sfida del governo Merz e i cui risultati produrranno effetti sull’intera Germania.

Restituire un “sistema” ad un Paese orfano di una storica stabilità: il ritorno della CDU si consumerà nella capacità di rispondere soprattutto a questa sfida. Un Paese abituato ad essere grande tra i grandi non può permettersi di restare nell’ombra per troppo tempo.

Donatello D’Andrea

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