Chi è Armin Laschet, l’erede di Angela Merkel alla guida della CDU
Fonte immagine Bernd Thissen/dpa

Il 16 gennaio scorso, il congresso dell’Unione Cristiano-Democratica, il partito di Angela Merkel, ha eletto il suo nuovo segretario dopo l’annuncio della cancelliera tedesca di lasciare la sua guida dopo ben 15 anni di dominio assoluto. I tre candidati erano tutti uomini, provenienti dallo stesso stato federale ed europeisti, anche se con delle differenze marcate circa la concezione del ruolo delle istituzioni sovranazionali e soprattutto del ruolo della Germania all’interno degli affari europei. Alla fine ha prevalso Armin Laschet, il candidato della “continuità”, nonostante i sondaggi dessero come vincitore Friedrich Merz, esponente dell’ala più a destra del partito.

Nonostante i moderati possano tirare un sospiro di sollievo, le sfide importanti da affrontare non saranno poche. La CDU vive un periodo di grande difficoltà e sulle spalle della Germania gravano responsabilità immani derivanti dalla leadership europea e dal rilancio economico che dovrà necessariamente avere luogo nei prossimi anni, per non vedere sfumare la credibilità dell’Unione. Riuscirà il nuovo segretario a raccogliere l’eredità di Angela Merkel, a guidare la CDU e, in caso di vittoria nelle prossime elezioni di settembre, a prendere le redini della prima potenza economica continentale?

I quindici anni di Angela Merkel

Da Merkel a Laschet. Quindici anni potrebbero non sembrare un periodo poi così lungo ma se spostassimo l’attenzione alla fattispecie prettamente politica legata a questo arco temporale, nel 2005 il mondo era totalmente diverso. La crisi finanziaria che avrebbe cambiato il corso della storia economica mondiale era ancora lontana, in Italia c’era il governo Berlusconi, in Francia Jacques Chirac e gli inglesi si apprestavano a confermare Tony Blair alla guida dell’esecutivo.

Sembrava un altro mondo. L’unico filo conduttore è proprio Angela Merkel. Nel novembre 2005 divenne cancelliera e in pochi avrebbero scommesso che sarebbe rimasta al suo posto per ben tre lustri. L’amburghese dirigeva la CDU già da quattro anni e si portava dietro la zavorra di un risultato deludente alle elezioni di settembre, quelle dal risultato peggiore della storia del partito. Nonostante ciò, la CDU era ancora il primo partito tedesco, nonostante il numero di seggi non fosse sufficiente per governare in solitaria con lo storico alleato bavarese (CSU). Nacque così la prima “Große Koalition“.

Angela Merkel decise di dare un profilo marcatamente personalistico al suo governo attraverso riforme decise, nette e dal grande impatto popolare. Dallo snellimento della burocrazia alla riforma delle regioni, dividendo le competenze tra governo federale e länder in modo chiaro. Logicamente una leadership così marcata si rifletté con risultati evidenti anche sul quadro europeo. Durante il suo primo semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea (2007), Merkel pose sul tavolo alcune priorità che ancora oggi rappresentano due punti cardine dei progetti europei: clima ed energia.

Negli anni successivi la cancelliera getterà le basi di numerose politiche sociali, culturali ed economiche, cercando sempre di incarnare la figura del leader autorevole, moderato e pragmatico, puntando sull’immagine di una Germania affidabile ma capace di adattarsi alle diverse fasi politiche. Non sempre riuscirà in quest’ultimo intento, come nel caso della crisi finanziaria e della politica di austerità che condizionerà i Paesi del Sud Europa negli anni a venire.

Durante la crisi dei rifugiati siriani, però, Angela Merkel mutò il suo atteggiamento dando l’idea di una svolta solidale della politica tedesca ed europea: spalancò le porte della repubblica federale ai flussi in entrata dal Medio Oriente, andando contro alcuni eminenti esponenti del centrodestra tedesco, i quali si trovarono molto in disaccordo con le posizioni assunte sul tema migratorio.

Soltanto con la pandemia la Germania è stata costretta a cambiare anche le proprie posizioni “totemiche” in economia, attraverso l’assenso a costituire un fondo europeo finanziato sul debito comune degli Stati, il celeberrimo Recovery Fund. Le resistenze sono state molte, ma alla fine anche l’ennesimo tabù è caduto. Più che di meriti di Angela Merkel, la quale ha comunque rivestito assieme a Emmanuel Macron e a Giuseppe Conte un ruolo di primo piano per l’adozione dello strumento, bisognerebbe parlare di una vera e propria operazione di sopravvivenza della moneta unica, poiché la caduta di uno solo dei grandi Paesi adottanti l’euro avrebbe condizionato il destino dell’intera struttura economica dell’Unione Europea.

Nel corso degli ultimi anni, però, qualcosa è cambiato, soprattutto in politica estera. Con il raffreddamento dei rapporti con gli Stati Uniti, tedeschi e francesi hanno rispolverato il vecchio mantra dell’indipendenza europea, sotto ogni punto di vista. Secondo la Cancelliera, l’Unione Europea deve trovare il suo posto tra americani e cinesi, diventare leader nel digitale e rendersi militarmente indipendente dalla Nato. Un proposito notevole, destinato però a restare sul tavolo fino a quando le diffidenze reciproche non lasceranno spazio alla fiducia e alla solidarietà.

Sul fronte interno, Angela Merkel ha rafforzato l’ala centrista della CDU, arginando le altre correnti e rifiutandosi di dialogare con l’estrema destra di Alternative für Deutschland. L’alleanza strutturale con la SPD, inoltre, ha permesso a una leader carismatica come Angela Merkel di consolidare la sua posizione centrale nel panorama politico tedesco. L’elezione di Walter-Borjans ed Esken, i nuovi leader socialdemocratici anti-Merkel, è infatti la conseguenza di un’alleanza che ha logorato dall’interno l’identità della SPD.

Durante i suoi quindici anni di governo, Angela Merkel ha dimostrato capacità di equilibrio e di leadership, affrontando gli impasse politico-istituzionali ed economici della Germania con la dose necessaria di risolutezza, alternandola a una flessibilità figlia di numerose esperienze negative che sono servite alla Cancelliera per costruirsi un profilo da statista. Raccogliere la sua eredità non sarà un’impresa facile ma, come si dice in gergo, “qualcuno dovrà pur farlo”. Quel qualcuno dovrà necessariamente essere Armin Laschet.

Le sfide di Armin Laschet

Classe 1961, Armin Laschet cresce in un contesto cattolico e francofono. Il suo coinvolgimento con la politica arriva verso la metà degli anni ’90, grazie al giornalismo e ai suoi contatti con il mondo democratico-cristiano dell’epoca. Nel 1994 viene eletto parlamentare per la CDU nel collegio della sua città natale. Il suo orientamento ambientalista è stato molto utile per conquistarsi le simpatie dei Verdi, partito con un grosso potenziale di coalizione.

Nel 1999 vince anche un seggio al Parlamento Europeo e per ben sei anni si concentrerà molto sulla politica estera dell’UE. Le idee di Laschet sono chiare: «l’Europa deve stare sulle proprie gambe», senza per questo staccarsi dalla Nato. Infatti le sue uniche critiche ad Angela Merkel riguardano proprio il balbettante processo di emancipazione dagli Stati Uniti portato avanti dalla Cancelliera, opponendole il modello francese di Emmanuel Macron. Sull’immigrazione i punti di contatto con la cancelliera sono molteplici: nel 2015 compì un viaggio in un campo profughi in Giordania per valutare la situazione dei rifugiati siriani e durante la crisi dei migranti in Germania, appoggiò apertamente la linea di Angela Merkel.

Nel 2012 viene eletto vicepresidente della CDU insieme ad altri membri, tra cui Ursula Von der Leyen, e nel 2017 diviene presidente del suo Land, la Renania Settentrionale-Vestfalia. Il suo mandato è stato caratterizzato da dichiarazioni molto contrastanti e ambigue su alcuni temi importanti, come il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Se la sua posizione sugli omosessuali è molto conservatrice, sulla politica estera in molti ricordano le sue aperture alla Cina e la Russia. La sua opinione in questo contesto è fondata sugli oggettivi interessi geopolitici: un dialogo con Mosca serve all’Europa per affrontare le principali sfide globali, mentre con la Cina conviene instaurare relazioni importanti perché si tratta di un partner economico-commerciale notevole.

L’elezione di Laschet a segretario della CDU arriva in un momento difficile per il partito. L’avanzata dell’estrema destra è soltanto l’ultimo dei problemi per una formazione politica che basa il suo successo sul forte radicamento territoriale. La sconfitta alle elezioni ad Amburgo è uno dei primi campanelli d’allarme di una CDU che non piace più ai giovani (solo il 6% ha votato per i conservatori) e ha bisogno di una svolta verso una rapida “svecchiata” della classe dirigente e un maggior coinvolgimento della Junge Union nel determinare la direzione della futura Germania.

La scelta di Armin Laschet dovrebbe garantire una certa continuità con il percorso tracciato dalla cancelliera. Una posizione centrista ed europeista ma con grandi sfide all’orizzonte: che CDU sarà quella del dopo-Merkel? Sicuramente un partito diviso, dato che all’interno dello stesso convivono posizioni diverse e conflittuali, come quella di Friedrich Merz, l’altro favorito per la successione, che ha ottenuto il 47% delle preferenze del congresso della CDU. L’ala conservatrice ha un peso che non può essere ignorato e se il nuovo segretario non farà qualcosa per accoglierne le richieste, i voti in uscita verso AfD aumenteranno, cominciando a diventare un serio problema.

La prima missione di Armin Laschet sarà quella di recuperare l’integrità della rappresentanza territoriale del partito. Ma le sfide non finiscono qui, il nuovo vertice della CDU dovrà anche superare le conseguenze legate all’uscita di scena di Angela Merkel dalla politica nazionale. Non basterà la garanzia di una sostanziale continuità con l’amministrazione precedente, in molti si aspettano che il nuovo segretario dia la sua identità al partito. Innanzitutto alcune sfide globali lo richiedono, come la lotta al cambiamento climatico. La simpatia dei Verdi potrebbe aprire anche nuovi scenari per le prossime elezioni, ma bisognerà vedere come la transizione condizionerà l’approccio all’economia della potenza teutonica e se la CDU sarà pronta a perdere i voti degli imprenditori “carbonieri”.

Insomma, si tratta del classico dilemma di successione al vertice. Laschet dovrà garantire continuità e innovazione, cercando di non far rimpiangere la leadership di Angela Merkel e la sua solida eredità, ma colmarne il vuoto con nuovi contenuti politici. Una missione difficile, quasi impossible.

Donatello D’Andrea

Classe 1997, lucano doc (non di Lucca), ha conseguito la laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e frequenta la magistrale in Sistemi di Governo alla Sapienza di Roma. Appassionato di storia, politica e attualità, scrive articoli e cura rubriche per alcune testate italiane e internazionali.

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