Joan Thiele, l’arte della sottrazione tra visione e intimità
Fonte: Undamento

Joan Thiele, cantautrice con una visione estetica raffinata e interculturale, ha fatto il suo debutto al Festival di Sanremo con “Eco”, un brano che ha segnato una cesura significativa nella sua discografia.

A metà strada tra la canzone d’autore e la sperimentazione elettronica, “Eco” ha confermato la capacità dell’artista originaria di Desenzano del Garda di costruire uno spazio musicale personale, dove la sottrazione e l’equilibrio formale diventano cifra distintiva.

In questa intervista, Joan Thiele racconta la genesi del brano, l’approccio tecnico e artistico della performance sanremese e le sue implicazioni sul piano discografico e progettuale.

Ciao Alessandra, è un piacere per noi averti qui! “Eco” è un brano molto personale, costruito con un linguaggio musicale essenziale e al tempo stesso sofisticato. Da dove nasce?

«È un piacere anche per me! “Eco” nasce in un momento di silenzio, di ascolto interno. Ho iniziato a scriverlo partendo da un’idea molto semplice: l’eco come riflesso emotivo, come ciò che ritorna nel tempo, nei pensieri, nei ricordi. È un brano che parla del bisogno di rallentare, di restare in contatto con la parte più vera di sé, anche in mezzo al rumore. Musicalmente ho scelto di lavorare per sottrazione, riducendo all’essenziale tutto ciò che non era funzionale alla narrazione.»

Sul piano della produzione, “Eco” presenta una struttura minimale, ma ricca di micro-dettagli. Joan Thiele, quali sono stati gli elementi chiave del sound design?

«Abbiamo lavorato su texture molto precise: pad sintetici caldi, percussioni leggere ma presenti e un uso calibrato dello spazio stereofonico. La voce è trattata in modo diretto, senza troppi artifici, per mantenere intatto il senso di vulnerabilità. L’obiettivo era creare una dimensione sospesa, quasi rarefatta, dove ogni suono avesse un suo peso specifico. In cuffia, il brano rivela molte sfumature; questa è stata una scelta consapevole.»

La performance sanremese ha restituito questa delicatezza con grande coerenza. Alessandra, come hai gestito l’adattamento live di un brano così intimo?

«La sfida più grande era conservare l’intimità di “Eco” su un palco come l’Ariston, dove tutto tende a diventare amplificato. Abbiamo lavorato su una performance molto misurata: nessun virtuosismo, ma controllo, intenzione e rispetto del silenzio. Anche visivamente, ho voluto che l’immagine scenica fosse coerente con l’atmosfera del brano, essenziale, ma curata. È stato un lavoro di precisione emotiva più che di spettacolarizzazione.»

Eco” si inserisce perfettamente nel percorso artistico di Joan Thiele. Come si colloca all’interno della tua discografia?

«È un’evoluzione naturale, ma anche un punto di svolta. Dopo lavori precedenti più ibridi e a tratti narrativi, sentivo il bisogno di semplificare, di rallentare e lasciare più spazio alla voce e alle emozioni primarie. “Eco” rappresenta una nuova fase: più matura, forse più nuda. È il primo tassello di un progetto più ampio che sto sviluppando, in cui la produzione sarà ancora più integrata con il processo autoriale.»

Quali sono state le reazioni al brano sanremese di Joan Thiele, sia da parte del pubblico che da parte del mondo professionale?

«Molto positive, soprattutto coerenti con le intenzioni che avevamo. Il pubblico ha percepito l’emotività e l’equilibrio, mentre diversi addetti ai lavori hanno riconosciuto il valore della ricerca sonora e della direzione estetica. Per un’artista come me, che ha sempre lavorato in un’area di confine tra indie, elettronica e cantautorato, è importante riuscire a comunicare senza perdere complessità.»

Possiamo considerare “Eco” un manifesto della visione artistica attuale di Joan Thiele?

«Sì, lo è. È un brano che non cerca di compiacere, ma di entrare in risonanza. L’eco non è mai un grido: è una risposta lenta, a distanza. Così concepisco oggi la mia musica: come un linguaggio riflessivo, profondo, che ha bisogno di tempo e attenzione per essere pienamente compreso.»

Vincenzo Nicoletti

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