Perù, che cosa è successo? La settimana dei tre presidenti
Beto Baron/Getty Images. Fonte: Il Post

Quella conclusasi lunedì 16 novembre è stata una settimana alquanto convulsa in Perù, sprofondato nella crisi politico-istituzionale più grave dell’ultimo decennio, con tre presidenti della Repubblica avvicendatisi in soli sette giorni, manifestazioni di massa per le strade di Lima e repressione (letale) della polizia. Il tutto aggravato da una crisi economica e sanitaria che hanno esposto le criticità del modello economico peruviano spesso elogiato, portando il Perù ad essere il terzo paese al mondo per numero di morti ogni 100.000 abitanti per COVID-19.

Il presidente Vizcarra: la guerra contro il Congresso e la sua rimozione

Andiamo con ordine. Il paese andino ha un problema sistemico di corruzione (Scandalo Odebrecht, o Lava Jato) e presidenti deboli: basti pensare che degli ultimi sei presidenti, tre sono stati condannati dalla giustizia (l’autoritario e liberista Alberto Fujimori, presidente del Perù dal 1990 al 2000, Alejandro Toledo e Ollanta Humala), uno è morto suicida prima che venisse arrestato (Alan García), Pedro Pablo Kuzcynski si è dimesso per evitare la destituzione (successivamente è stato arrestato) e infine Martín Vizcarra, vice-presidente di Kuzcynski subentratogli nel 2018, deposto dal Congresso per accuse di corruzione quando era governatore della Regione di Moquegua. La grande differenza tra quest’ultimo e i suoi predecessori è che Vizcarra, indipendente e senza partito nel Congresso, ha un forte appoggio popolare (60% di approvazione, tra i più alti nella regione per un presidente), mentre il colpo di mano dell’impeachment è stato perpetrato da un Parlamento che non gode affatto di prestigio presso i cittadini. Infatti, la politica interna del Perù degli ultimi due anni è stata contraddistinta da un intenso conflitto tra il Presidente e il Congresso, a maggioranza fujimorista dal 2016 al 2020.

Martín Vizcarra presidente destituito Perù
L’ex-presidente della Repubblica del Perù, Martín Vizcarra. Fonte: Radioyaravi.org

Di fronte all’ostruzionismo parlamentare di una serie di grandi riforme anti-corruzione e della giustizia, il Presidente Vizcarra nel settembre 2019 ha attivato un articolo della Costituzione del Perù che prevede lo scioglimento del Congresso (130 seggi) e nuove elezioni legislative, tenutesi nel gennaio 2020. Queste hanno fortemente ridimensionato la destra populista di Keiko Fujimori (Fuerza Popular), ma hanno anche consegnato uno scenario parlamentare ancora più atomizzato di prima, con 10 gruppi parlamentari.

Così, in una resa dei conti politico-istituzionale, il Congresso ha applicato un altro articolo della Costituzione del Perù che permette di rimuovere il Presidente in caso di “incapacità fisica o morale“, interpretando (molto liberamente) l’indagine per presunte tangenti nei confronti di Vizcarra un motivo valido di incapacità morale, rimuovendolo dalla carica lo scorso 9 novembre. In questo modo, il Congresso peruviano si è liberato del suo principale rivale, istituendo al contempo un grave precedente per future crisi politiche, dove le minoranze parlamentari potranno attivare questo meccanismo destituente. La Corte Costituzionale peruviana, riunitasi giovedì 19 novembre, ha dichiarato come “non valida” la richiesta da parte di Vizcarra, di fatto avallando l’impeachment da parte del Congresso per “incapacità morale permanente” del Presidente.

Presidenti ad interim, repressione e dimissioni

Manuel Merino presidente ad interim Perù
L’ex-presidente ad interim Manuel Merino, dimessosi domenica. Fonte: agenpet.it

Contestualmente alla rimozione di Vizcarra, giovedì 12 ha giurato come Presidente del Perù ad interim (secondo dettame costituzionale) il Presidente del Congresso Manuel Merino, che ha formato un governo ultraconservatore. Tuttavia la deposizione di Vizcarra non è stata accettata dall’opinione pubblica: migliaia di peruviani sono scesi per le strade di Lima per protestare contro quello che per molti è stato un vero e proprio colpo di stato parlamentare, chiedendo le dimissioni di Merino. Le enormi manifestazioni, in cui il sentimento di sfinimento e di sfiducia nella classe politica (68 membri del Congresso sono accusati di corruzione) si è amalgamato con l’apprezzamento nei confronti di Vizcarra, si sono allargate a macchia d’olio anche in altre città.

manifestazioni scontri Lima
Manifestazioni a Lima il 14 novembre (AP Photo/Rodrigo Abd)

Così come le proteste sono state grandi, la repressione della polizia peruviana è stata violenta: i lacrimogeni e i proiettili (di gomma e non) hanno provocato due morti (due giovani studenti universitari) e un bilancio ancora indefinito di centinaia di feriti e decine di desaparecidos. Alla notizia delle due persone uccise, lo scorso 14 novembre 13 ministri del gabinetto appena nominato si sono dimessi (tra cui il Ministro dell’Interno Gastón Rodríguez, accusato di aver negato le violenze della polizia), mentre lo stesso Merino si è dimesso il giorno dopo, lasciando di fatto il Perù acefalo e nella peggiore crisi costituzionale dai tempi di Fujimori. Merino e altri funzionari sono formalmente indagati dal procuratore generale del Perù per violazione dei diritti umani e omicidio aggravato dei due manifestanti.

repressione manifestazioni Lima
Manifestazioni a Lima il 14 novembre (AP Photo/Rodrigo Abd)

Dopo un giorno intero di completo vuoto di potere, il Congresso peruviano lunedì 16 ha eletto ad interim il terzo presidente in sette giorni. Il neo-presidente Francisco Sagasti, membro dell’unico partito che aveva votato contro la rimozione di Vizcarra, avrà l’incarico di traghettare il Perù alle elezioni generali dell’aprile 2021. La scelta ricaduta su Sagasti, centrista dal basso profilo ma di consenso e rispettato, dovrebbe placare le tensioni e almeno congelare la crisi politica.

Il Perù tra presidenti deboli e un “sistema politico cannibale”

Sagasti presidente Perù
Il neo-presidente ad interim Francisco Sagasti. Fonte: elnacional.com

Quello che emerge chiaramente dalla settimana dei tre presidenti è che il Perù ha un bisogno disperato di una riforma complessiva dei suoi equilibri politici e costituzionali. Il golpe del Congresso ha certificato ciò che per molti peruviani è senso comune: l’instabilità che vive il paese andino, con presidenti deboli, un sistema politico autodistruttivo e “cannibale” e un’ingegneria istituzionale obsoleta, è diretta eredità del regime costituzionale installato da Fujimori nel 1992. Dagli anni ’90 il Perù è un’economia sociale di mercato con nessun intervento statale, dando immenso spazio alle concentrazioni dei potentati economici; una democrazia senza un sistema partitico stabile e istituzionalizzato, ma che è riuscita a diminuire la povertà e a crescere economicamente; un modello di stabilità finanziaria, ma intriso di disuguaglianze, informalità lavorativa e mancanza di servizi di base come quelli relativi alla salute, aspetti resi sempre più evidenti dalla pandemia.

Le urne di aprile 2021 lasciano intravedere i possibili scenari futuri per il Perù. Se si prendono in considerazione i risultati dello scorso gennaio, la tendenza conservatrice del Congresso potrebbe accentuarsi, così come l’atomizzazione, e la crisi istituzionale ora congelata potrebbe riemergere con risvolti drammatici. Se in questi mesi emergeranno figure che sapranno capitalizzare il malcontento sociale con risposte concrete alle rivendicazioni della popolazione, potremmo avere un rafforzamento della figura presidenziale e una via d’uscita da questo labirinto politico-istituzionale antidemocratico, come è successo con Arce in Bolivia. Oppure, è anche possibile che la mobilitazione sociale per le strade peruviane diventi ancora più di massa e radicale, come in Cile, collegando la rabbia e l’incertezza di questi tempi di crisi alla necessità di trascendere la pura difesa della democrazia, mettendo in moto un processo destituente dello status quo per costituire un Perù nuovo, davvero democratico e più giusto.

Augusto Heras

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