Quando è qualche noto detrattore a criticare l’attuale asse di Governo – Salvini e Di Maio, Lega e Movimento Cinque Stelle – le invettive lasciano un po’ il tempo che trovano. È il gioco delle parti, è l’opposizione che prova a fare l’opposizione, sono i media manipolati dai poteri forti. Insomma, critiche e perplessità che non trovano affatto terreno fertile tra i sostenitori gialloverdi, anzi alimentano la fiducia in quello che si è presentato come il governo del cambiamento.

Se però a farlo è Marco Travaglio, forse c’è un problema

L’elefante nella stanza è sempre stato lì. Per un po’ chi era seduto sulle poltrone del Governo ha fatto finta di non vederlo, ha provato a ignorarlo, ma la resa dei conti sembra inevitabile.

Sin dalla composizione dell’esecutivo, Matteo Salvini si è quotidianamente lanciato in esternazioni mediatiche sensazionalistiche, più che borderline per quello che ci si aspetterebbe da un Ministro della Repubblica, cavalcando temi di percezione comune – il fenomeno migratorio, per esempio – per aumentare il proprio consenso popolare. Detto fatto. Dal 4 marzo ad oggi la Lega ha quasi raddoppiato il suo consenso, dal 17% ha superato la soglia del 30 e nelle ultime settimane ha scalzato il Movimento Cinque Stelle dal titolo di primo partito.

E Di Maio che fa?“, potremmo dire parafrasando la locuzione da social più sfruttata contro il passato esecutivo. Di Maio e il Movimento Cinque Stelle faticano a tenere il passo mediatico di Salvini, provano a occuparsi di tematiche che non hanno slogan semplici e facile presa sulla popolazione: il reddito di cittadinanza tarda ad arrivare e le elezioni europee sono alle porte.

Porti chiusi, urne quasi aperte: la strategia di Salvini è vincente

Alle urne il 4 marzo Lega e Movimento Cinque Stelle si sono presentati in schieramenti diversi, con programmi diversi, ma con due principali tratti comuni. Il primo, scontato, consiste nell’atteggiamento populista delle due forze politiche: grandi proclami a mezzo social e stampa, uno stile di comunicazione diretto ed emozionale.

Il secondo punto di contatto tra i pentastellati e Salvini, che ha sin da subito allarmato il Presidente Mattarella e i mercati internazionali, è l’euroscetticismo. Se sono finiti i papabili colpevoli nostrani per l’attuale infelice situazione italiana, la colpa allora è dell’Europa, che non accoglie i migranti e costringe l’Italia a farlo, che non permette più flessibilità economica e impedisce la realizzazione del reddito di cittadinanza, o della flat tax.

Salvini e la Lega non solo hanno strutturato questa narrazione durante la campagna elettorale, ma l’hanno portata avanti nei mesi di governo. Seppur non avendo realizzato nulla di quanto promesso, i casi mediatici dei porti chiusi e della nave Diciotti, i braccio di ferro spesso inutili nei confronti di altri Stati membri dell’Unione Europea, hanno garantito al leader del Carroccio un posto da protagonista sulla scena italiana e internazionale.

E il Movimento Cinque Stelle?

Probabilmente le prese di posizione così nette di Salvini e l’esplosione di consenso per la Lega hanno colto di sorpresa le figure di spicco del Movimento, che si aspettavano di essere la colonna portante dell’esecutivo gialloverde e invece si trovano ad essere la stampella della Lega, incapaci di avere posizioni chiare e inequivocabili sui temi più attuali.

Di Maio non si sta dimostrando un leader sufficientemente carismatico per tenere il passo con l’aggressività comunicativa di Salvini (forse Di Battista sì?) e il Movimento Cinque Stelle vacilla, pagando l’eterogeneità del suo elettorato – né di destra né di sinistra – e l’assenza di soluzioni semplici a problemi complessi come il precariato e la disoccupazione.

In tre mesi di Governo, il Movimento ha dilapidato punti percentuali di consenso, non è stato capace di imporre i propri temi, non è stato in grado di realizzare le proprie proposte – sull’Ilva Di Maio ha fatto poco meglio di Calenda e il decreto dignità al momento non ha impatti verificabili – e si ritrova ad essere la corrente organica della Lega, con parte dell’elettorato che non si sente rappresentato da queste politiche e un’altra che, al contrario, ne è talmente soddisfatta dall’essere affascinata da Salvini, al punto di votarlo.

Le elezioni europee faranno saltare il banco gialloverde?

«Prima o poi, anzi più prima che poi, se nulla cambia, Di Maio & C. dovranno porsi seriamente il problema del che fare: cioè se e quando staccare la spina. Anche perché presto o tardi, più presto che tardi, prima delle Europee del 2019 o subito dopo, lo farà Salvini».

Lo scriveva Marco Travaglio nel suo editoriale del 1° settembre, prima di lui Roberto Maroni faceva lo stesso in un’intervista rilasciata a Libero: le elezioni europee rappresenteranno la conclusione dell’idillio gialloverde e, probabilmente, il termine ultimo dell’alleanza che regge l’esecutivo di governo.

Anche i diretti interessati, Salvini e Di Maio, hanno escluso possibili alleanze alle urne, ma mentre il Ministro dell’Interno incontrava Viktor Orbán e continuava la corsa all’euroscetticismo che stuzzica il suo elettorato, il Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico era e resta in difficoltà di fronte alla prossimità di una campagna elettorale che per il Movimento Cinque Stelle potrebbe essere disastrosa, ridefinendo gli equilibri di potere dell’esecutivo, già ampiamente mutati dal 4 marzo ad oggi.

Per i pentastellati non sembrano esserci vie d’uscita semplici e indolori, parte dell’elettorato del Movimento è completamente allineato alle politiche di Salvini e in caso di un doloroso divorzio gialloverde potrebbe finire tra le braccia dell’uomo forte, il leader del Carroccio.

D’altro canto è inverosimile e controproducente continuare a sostenere un esecutivo che si è dimostrato incoerente rispetto alla campagna elettorale e al contratto di Governo e, probabilmente, i leader del Movimento avrebbero dovuto staccare la spina qualche mese fa, prima che la situazione politica degenerasse. Ora è troppo tardi per uscirne indenni.

Andrea Massera

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