Il reddito di cittadinanza è un tema centrale – forse il tema centrale – del programma di governo presentato dal Movimento Cinque Stelle in campagna elettorale. Ma ora che iniziano le trattative per la formazione di un governo arriva il momento dei compromessi: resisterà il sogno di Grillo?

In data 10 febbraio 2018, poco meno di un mese prima delle elezioni che hanno rivoluzionato lo scenario politico italiano, Beppe Grillo si esprimeva così in un post chiarificatore sul reddito di cittadinanza pubblicato sul suo blog:

«È il reddito che ti include nella società, non il lavoro. Abbiamo l’idea che l’uomo non possa far altro che lavorare, che sia la sua finalità ultima avere un lavoro. Niente di più sbagliato. Abbiamo abitato questo pianeta con una moltitudine di ordini sociali, i quali per la maggior parte, soprattutto agli albori della nostra storia, non prevedevano nessun cartellino da timbrare o reddito da esporre. Le risorse ci sono, ci vuole solo la volontà politica».

Insomma, il Movimento Cinque Stelle che si presentava alla tornata elettorale era indubbiamente dotato di una forza propulsiva che portava con sé accuse di utopia ma anche una forte carica di entusiasmo dopo anni di dura opposizione.

Oggi il Movimento però non è più il primo partito d’opposizione, ma il primo partito cui gli altri partiti con ambizioni di governo si devono rivolgere per pensare alla formazione del nuovo esecutivo. Che si pensi a un asse M5S-Lega come a un meno probabile M5S-centrosinistra, resta in ogni caso il dubbio sulle modalità in cui il reddito di cittadinanza nella versione proposta da Grillo possa coniugarsi con la concezione del lavoro di questi due eventuali partner di governo.

La Lega, in particolare, ha sempre insistito sul tema dell’occupazione come fine ultimo di un programma di governo. La stessa critica alle politiche migratorie degli ultimi governi di centrosinistra è sempre stata accompagnata da un’enfasi sull’inconciliabilità tra integrazione dei migranti nella società e lotta alla disoccupazione. Insomma, la creazione di posti di lavoro è certamente un perno centrale del programma del partito di Matteo Salvini.

La concezione del ruolo del lavoro nella società parrebbe un tema piuttosto astratto e filosofico, ma così non è. Gli analisti politici che si stanno occupando in questi giorni di ipotizzare chi farà parte del prossimo governo dimenticano che la discussione tra i partiti coinvolti non è fatta solo di compromessi per spartirsi i ministeri, ma si fonda innanzitutto sul tentativo di conciliare diverse idee di Paese in un programma condiviso. È così scontato che l’idea di Paese del Movimento Cinque Stelle – nella quale il lavoro nelle parole del suo leader storico ricopre un ruolo defilato ed è concepito come un fatto superabile – sia integrabile con quelle finalizzate alla creazione di posti di lavoro proprie di Lega e Partito Democratico?

Anzi, per tornare al blog di Grillo, sembra che la posizione del comico genovese si sia ancor più radicalizzata a elezioni concluse. Il 14 marzo, infatti, Grillo ha pubblicato un post dal titolo “Società senza lavoro”, nel quale parte dalla constatazione dell’elevata produttività attuale per concludere affermando l’inutilità del lavoro retribuito.

«Una società evoluta è quella che permette agli individui di svilupparsi in modo libero, generando al tempo stesso il proprio sviluppo. Per fare ciò si deve garantire a tutti lo stesso livello di partenza: un reddito, per diritto di nascita. Soltanto così la società metterà al centro l’uomo e non il mercato.»

Il libero sviluppo grillino riecheggia – a parole – lo slogan marxista del libero sviluppo di ciascuno come condizione del libero sviluppo di tutti, e non a caso proprio sul reddito di cittadinanza si sono incentrate le principali accuse della stampa liberale di destra al Movimento.

Ma quello di cui questa stessa stampa fatica ad accorgersi è che l’introduzione del reddito di cittadinanza non deve necessariamente avere come fine ultimo l’approdo alla workless society di Beppe Grillo.

Anzi, nel resto del mondo il reddito di cittadinanza si sposa molto meglio con la forte etica del lavoro che ha sempre caratterizzato la destra italiana.

Come messo in evidenza da un articolo dell’Agi, infatti, all’introduzione del reddito di cittadinanza si accompagnano spesso il sogno neoliberista dello smantellamento del welfare state e la prospettiva di una crescente automatizzazione del lavoro.

È così improbabile che la Lega apprezzi un reddito di cittadinanza “degrillizzato”, svuotato delle sue sfumature utopistiche e reinserito in un progetto di governo di lotta alla disoccupazione? Ed è così improbabile che Luigi Di Maio riesca a convincere anche il leader storico del Movimento della bontà di un grillismo realista per salvare capra e cavoli, accontentando la destra con tagli a tasse e servizi ma anche facendo ruotare le richieste degli alleati di governo attorno al nucleo forte del programma dei Cinque Stelle?

Davide Saracino

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