Tra repressione interna e crisi istituzionale, l’America di Trump svela il volto autoritario di un potere che si nutre del conflitto per affermarsi. Dalla deportazione di massa dei migranti all’uso politico della forza militare, passando per l’indebolimento sistematico delle istituzioni democratiche, il secondo mandato Trump si sta configurando come un laboratorio del nuovo autoritarismo occidentale. In questo scenario, la sicurezza diventa pretesto per il controllo, il dissenso viene criminalizzato, e la democrazia svuotata dall’interno.
Trump e il conflitto
Donald Trump ha dato ufficialmente inizio alla manovra di deportazione di massa dei migranti irregolari sul suolo USA.Il primo epicentro della stretta sui controlli è Los Angeles, che non a caso è la seconda città statunitense per abitanti nati all’estero: il 30% della popolazione, più di 3 milioni di persone. Secondo il Center for Migrations Studies la popolazione di sans papiers negli Stati uniti si aggira intorno alle 11 milioni di persone; lavoratori, studenti, famiglie sulle quali adesso incombe lo spettro dei controlli di polizia, incrementati già dal primo mese del mandato Trump. Per afferrare l’entità della questione sono è necessario un dato: gli arresti condotti dalla ICE (Immigration and Customs Enforcement), sotto l’amministrazione Trump, sono aumentati del 600% rispetto al governo di Biden, che preferiva misure alternative alla detenzione.
Non sono tardate ad arrivare le proteste, animate soprattutto dalle comunità migranti, che hanno visto al loro fianco anche tanti cittadini solidali. Le città che si stanno opponendo sono sempre di più, tra le principali, Atlanta, Seattle, Dallas, Louisville e New York. Lì sembra essere più che una mobilitazione di piazza una vera e propria difesa (certo, anche violenta), dei quartieri interessati dai controlli. Le notizie sulle tensioni nelle città sono in continuo aggiornamento, sono già centinaia gli arresti e i casi di violenza degli agenti.Le immagini dei dispiegamenti di polizia, Marines e Guardia Nazionale sembrano estratti di un poliziesco Hollywoodiano, ma sono cruda realtà: sono gli agenti voluti dal Governo (e non dai singoli stati, almeno per l’impiego della Guardia Nazionale) per far fronte agli “animali”, così il presidente Americano ha chiamato i manifestanti.
Trump non agisce casualmente. Le sue dichiarazioni in campagna elettorale non hanno superato il limite, lo hanno spostato, ormai oltre il confine dei diritti umani. Il pugno duro sulle università, l’espulsione dagli atenei e dal paese di migranti e dissidenti sono soltanto le fondamenta del disegno autoritario: provvedimenti ad hoc per innescare un clima di emergenza e fornirne la facile soluzione, l’odio. Lo scontro politico tuttavia non si dà più soltanto nei termini dello stato che si scaglia contro i propri nemici (interni o esterni che siano), bensì vede contrapposti il potere del tutto personale di Trump e i suoi delfini, contro le istituzioni stesse, messe continuamente alla prova, portate al limite, appunto.
L’imposizione dei dazi sono il perfetto esempio di questa manovra; non un provvedimento di natura economica bensì un modo per stressare i rapporti con la Corte del Commercio Internazionale e con il Congresso (il presidente potrebbe varare dazi arbitrariamente soltanto in casi di emergenza nazionale). È il tentativo ormai conosciuto di sottomettere il potere legislativo e giudiziario sotto quello esecutivo. Due bersagli, un solo colpo.
Trump e il controllo
Il clima di insicurezza generato artificialmente dalla Casa Bianca crea le condizioni per degli interventi estremi e sovversivi; la violenza della polizia dilaga, lo stato di diritto affonda, l’ordine pubblico e la sicurezza sono sempre più la pretesa di un silenzio obbediente e sommesso. Nella seconda settimana di giugno la polizia anti-migranti ne ha arrestati più di 400 nella sola Los Angeles e l’impiego generale per contenere le proteste è di decine di migliaia di agenti. Tra questi non soltanto la ICE e gli agenti di polizia ma anche 700 Marines e 4 mila agenti della guardia nazionale.
Proprio l’impiego di questi ultimi ha suscitato la forte opposizione di Gavin Newsom, governatore democratico della California. L’invio della Guardia Nazionale e dei Marines da parte del governo federale, senza il consenso esplicito degli stati interessati, non è solo una risposta repressiva: è una strategia politica per inasprire i rapporti con i governatori democratici e delegittimare le autorità locali. È un modo per creare fratture istituzionali, esasperare il conflitto tra federazione e stati, e rafforzare il potere centrale a scapito del principio costituzionale di bilanciamento tra i poteri.
L’uso della forza, in questo contesto, non è solo coercizione fisica ma anche provocazione politica, mirata a isolare gli oppositori, forzare la mano e mettere in discussione l’autonomia degli stati federati, alla ricerca di un controllo diretto sui territori che si liberi dell’ostacolo dei governi federali democratici.
Stati di diritto, stati di polizia
Lo schema che Trump si assume si riproduce e si è riprodotto in tutti i nascenti disegni autoritari e imperiali: la sovrapposizione dei poteri, le tendenze sovversive dell’ordine democratico (spesso all’interno dei codici stessi della democrazia), la deriva ipnocratica dell’informazione, sono i tratti caratteristici del panorama politico della nostra epoca, di un mondo che va a destra. Che ci va sulla pelle dei migranti, dei lavoratori, dei popoli stessi.
Il conflitto non è più semplicemente uno scontro fra fazioni o tra ideologie opposte: è un meccanismo deliberato di governo. Un conflitto programmato, esasperato, gestito dall’alto per disarticolare ogni forma di resistenza. In questo senso, Trump non si limita a governare gli Stati Uniti: tenta di riscriverne la grammatica democratica, usando le stesse strutture istituzionali per svuotarle di significato. Il caos, quello che trapela dalle parole del Governo, è più tragicamente un programma politico minuzioso che si serve dell’assuefazione, che riesce a sdoganare orizzonti che sembravano inimmaginabili: Trump Gaza, il coinvolgimento di Musk, la sfida aperta allo stato di diritto e infine la deportazione di massa.
Il controllo non risponde più soltanto alla necessità di ordine e sicurezza, ma è uno strumento che genera tensioni. Trump non si limita a dispiegare in misura sproporzionata i militari, deve farlo violando dei codici, conquistando legittimità nell’illegittimo.
Il peso specifico degli Stati Uniti nello scacchiere internazionale, l’influenza che il presidente americano sta esercitando sugli alleati di destra europei, sono dati che devono preoccupare, e ai quali si deve rispondere con lo sviluppo di meccanismi di tutela democratica. Meccanismi che non fanno più capo soltanto alla teoria ma che attivano la necessità di una prassi di autodifesa.
Mala tempora currunt.
Giovanni D’Andrea