Ministero per la Famiglia e la Natalità, Eugenia Roccella: ministra antiabortista e dello Stato Etico
Eugenia Roccella (Fonte: tg24.sky.it)

La nomina di Eugenia Roccella al Ministero per la Famiglia e la Natalità con delega alle Pari opportunità costituisce un nuovo attacco alla salute e ai diritti riproduttivi delle donne, i cui corpi continuano a essere terreno di scontro politico e simbolico. La pelle delle donne diviene una lastra di vetro attraverso la quale osservare le loro viscere per poi poterne discettare in assenza delle portatrici stesse di questi uteri che non sono più loro. La madre, in quanto soggetto, non esiste più, è un mero involucro inanimato che ospita il feto (che è invece la vita), ella non è più padrona di quello spazio – il suo ventre – che diviene pubblico, come afferma Barbara Duden nel suo libro “Il corpo della donna come luogo pubblico“. Il feto – o meglio, il «fantasma del feto», in quanto è l’idea che si ha di feto a renderlo vivo – per taluni reca in sé finanche diritti umani, dai quali molto spesso le donne vengono invece escluse. Duden afferma che il feto «non è una creatura di Dio o della natura, bensì della società moderna», che viene soggettivato al costo di oggettivare la donna.

In un intervento televisivo, la ministra Eugenia Roccella ha affermato: «Io sono femminista e le femministe non hanno mai considerato l’aborto un diritto. L’aborto è il lato oscuro della maternità». Il femminismo della ministra, però, contravviene al minimo comune denominatore di qualsivoglia teoria femminista: il fine emancipatorio per tutte le donne e le soggettività oppresse senza alcuna preclusione di sorta. Al contrario, le sue affermazioni fanno eco all’antica litania che vuole le donne relegate all’ambiente domestico e i loro corpi normati, soggiogati e spersonalizzati.

Chi è Roccella e cosa comporta avere una ministra antiabortista

Al Ministero per la Famiglia e la Natalità arriva Eugenia Maria Roccella, classe 1953, parte attiva negli anni ’70 del Movimento di Liberazione della Donna, costituito dalla componente femminista del Partito Radicale, che perseguiva: l’accesso libero e gratuito all’IVG (interruzione volontaria di gravidanza) e a un’adeguata informazione sui metodi anticoncezionali, la socializzazione del lavoro domestico e di cura, la soppressione dell’Opera nazionale maternità e infanzia (un ente assistenziale creato durante il regime fascista nell’ambito della battaglia demografica portata avanti da Benito Mussolini e rimasto intatto fino al 1978).

Nel corso degli anni le sue posizioni politiche sono mutate radicalmente, fino a diventare fortemente conservatrici e tradizionaliste; tanto che, nel 2007, Roccella divenne portavoce del primo «Family day». L’anno successivo fu eletta alla Camera dei deputati nella lista del Popolo della libertà per poi diventare sottosegretaria al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali del IV governo Berlusconi. Nel 2013 fondò il comitato «Di mamma ce n’è una sola», il primo in Italia contro la GPA (Gestazione per conto di altre persone), definita dalla ministra «una pratica di liberismo procreativo». In un successivo intervento Roccella ha affermato che: «La cosiddetta libertà di scelta è stata messa in discussione perché si è iniziato a capire che da libertà di scelta di “quando e se” essere madri, sta diventando sempre più una libertà di scelta sul figlio: la libertà di “chi” essere madri, attraverso la selezione genetica sul figlio». Nel 2018 fu candidata ed eletta fra le fila di Fratelli d’Italia.

Family Day del 2007 (fonte: avvenire.it)

Se le convinzioni sull’aborto non sono sorrette dai dati al Ministero

Eugenia Roccella è sia una giornalista che una prolifica scrittrice. Il 1975 è l’anno della pubblicazione del volume “Aborto: facciamolo da noi”. Anni dopo, nel 2006, seguì un ulteriore libro sul tema, ma di segno opposto, intitolato “La favola dell’aborto facile. Miti e realtà della pillola Ru486″. Quest’ultima viene definita «aborto a domicilio» in una campagna ideologica che, «indifferente alla salute delle donne», avrebbe diffuso la falsa convinzione, secondo l’autrice, che la pillola RU486 sia priva di rischi per la salute delle donne: «Il nuovo farmaco è apparso come un simbolo di libertà femminile e di progresso. La realtà è diversa: l’aborto chimico è più rischioso, doloroso e traumatico di quello effettuato con altri metodi e il tasso di mortalità è 10 volte più alto di quello relativo al metodo chirurgico». Le tesi di Roccella non sono sorrette da dati scientifici, i quali affermano, invece, che la pillola abortiva riduca i rischi legati all’aborto chirurgico. Dal 2009 è stata approvata dall’AIFA, mentre, per quanto attiene i casi di decesso legati alla sua assunzione, se ne rilevano appena 27 su decine di milioni di trattamenti nel mondo, per una percentuale inferiore allo 0,001%.

Lo scorso marzo l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) ha pubblicato le nuove Linee guida per la tutela dell’aborto in cui si afferma che «la salute e i diritti sessuali e riproduttivi sono fondati su una serie di diritti umani riconosciuti e garantiti dal diritto internazionale e sono indissolubilmente legati al raggiungimento degli obiettivi della politica di salute pubblica». Dunque, l’OMS considera l’aborto semplicemente una procedura medica ascrivibile all’ambito della prevenzione e della salute delle donne. Nel documento si legge che l’aborto non può costituire reato, in quanto ciò equivarrebbe «a tortura, trattamenti crudeli, disumani o degradanti», l’obiezione di coscienza non deve essere un ostacolo all’aborto, «occorre eliminare gli stereotipi negativi» legati a esso e «si dovrebbero eliminare misure come i requisiti di autorizzazione di terzi [dalle strutture sanitarie ai familiari] anche in relazione alle minorenni».

Alla criminalizzazione dell’aborto, non corrisponde una diminuzione degli stessi, ma solo un aumento dei rischi per la salute di chi vi si sottopone senza adeguati strumenti. Infatti, ogni anno nel mondo solo il 55% delle donne ha accesso alle pratiche abortive in un contesto sicuro, mentre circa 33 milioni mettono a rischio la propria vita per ottenere un aborto attraverso metodi non controllati. Il report dell’OMS sottolinea, inoltre, la necessità che si passi da un «aborto per motivi» a un «aborto per scelta», in quanto il primo non tiene debitamente conto della volontarietà della donna. Come afferma Daniela Avadia, per Univadis: «Leggendo le raccomandazione dell’OMS possiamo dire che anche l’Italia applica una legislazione che non risponde a ciò che sappiamo sul piano scientifico in materia di effetti negativi della negazione dell’aborto. Abbiamo il periodo obbligatorio di attesa, innumerevoli restrizioni, il limite temporale per gli aborti non terapeutici e, soprattutto, l’obiezione di coscienza. La legge 194 che regola l’aborto in Italia non sancisce l’autodeterminazione della donna, ma solo la possibilità di abortire per ragioni mediche e psicologiche. In sostanza, si può abortire per proteggere la salute materna, non per semplice decisione».

Manifestazione del Movimento di Liberazione della Donna (fonte: lastampa.it)

Lo Stato Etico di Roccella e quella necessità di controllare i corpi

La legge 194 del 1978 è uno strumento atto a riconoscere il valore sociale della maternità e a tutelare la vita umana, mentre la possibilità di abortire è imposta in chiave emergenziale. L’aborto è consentito fino a 3 mesi dal concepimento e, con fare paternalistico, se ne garantisce l’accesso in «circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepimento». Inoltre, si esortano i consultori a rimuovere gli ostacoli che indurrebbero la donna a non dar proseguimento alla gestazione. Ancora, l’art. 9 nel sancire la possibilità per il personale sanitario di sollevare obiezione di coscienza (pur negando l’obiezione di struttura sanitaria) rende pernicioso l’accesso alle pratiche mediche abortive.

La Relazione del ministro della Salute sull’attuazione della legge 194/1978, aggiornata al 2018, evidenzia che il 69% dei ginecologi italiani è obiettore di coscienza, con picchi che superano l’80% nella provincia autonoma di Bolzano e nel Molise. Ciò fa venir meno, de facto, il divieto di obiezione di struttura: nel 35,1% delle strutture con un reparto di ginecologia o ostetricia non è possibile accedere all’IVG. Questi dati mostrano come non sia necessaria alcuna modifica della legge 194 – e, infatti, non è fra gli obiettivi dell’agenda politica la Presidente del Consiglio on. Giorgia Meloni – al fine di rendere difficoltoso l’accesso all’IVG per le donne ed esercitare un controllo stringente sui loro corpi. Basti pensare alla proposta di legge depositata in Parlamento da Maurizio Gasparri di modifica del codice civile al fine di attribuire capacità giuridica al feto, o allo stanziamento di 400 mila euro in Piemonte per finanziare le associazioni che promuovono il «valore sociale della maternità».

Il Ministero per la Famiglia e la Natalità

La famiglia quale istituzione non è astorica, muta nel tempo in relazione allo sviluppo delle forze produttive e ha sempre una precisa funzione nell’organizzazione sociale. Il richiamo strumentale alla famiglia è nel nome del Ministero di Eugenia Roccella al fine di garantire ordine morale, pubblico, economico e sociale. Qualsivoglia deriva illiberale inizia proprio con il minare i diritti delle donne, mentre i riferimenti alla famiglia naturale divengono più frequenti e attecchiscono maggiormente nei periodi di crisi, in cui la politica non riesce a dare alcuna risposta reale ai problemi economici del Paese, e dunque sfrutta il sovranismo e il nazionalismo per meglio governare e mantenere l’ordine pubblico.

Il rapporto Istat pubblicato nel 2021 indica che in Italia il numero medio di figli per ogni donna è 1,24 e riconosce le cause strutturali del fenomeno, prima fra tutte l’instabilità socio-economica crescente per le nuove generazioni. Mentre la sostenitrice della «famiglia naturale», formata rigorosamente da un uomo e una donna, si limita a sancire che «il matrimonio è il momento cruciale che dà valore alla differenza sessuale, l’incontro di due diversi che producono la continuità delle generazioni; [e] le unioni civili una via verso la fine dell’umano», è la mancanza di servizi di assistenza all’infanzia e di un welfare sufficientemente forte a spiegare, in parte, l’attuale tasso di natalità.

Al Ministero per la Famiglia e all’inquilina Eugenia Roccella non interessa l’autodeterminazione e l’emancipazione delle donne, sia che queste vogliano avere dei figli e siano impossibilitate nel farlo dato il contesto economico e politico in cui versa l’Italia, sia che queste vogliano legittimamente abortire. Viene preclusa qualsiasi possibilità di scelta per le donne; alle destre, in modo particolare, interessa soltanto avere il controllo sui loro corpi.

Celeste Ferrigno

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