I Facci nostri
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Nel mese di maggio accadono alcuni avvenimenti che coinvolgeranno, 40 giorni dopo, il figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa. L’8 luglio il giornalista Filippo Facci pubblica un editoriale su Libero che rimbalza sui profili di vari personaggi politici. La frase incriminata è: «Una ragazza di 22 anni era fatta di cocaina prima che fosse fatta anche da Leonardo Apache La Russa […]». Il senatore Sandro Ruotolo chiede alla Rai di fare un passo indietro sulla possibilità di affidare al giornalista una striscia su Rai2 dal titolo “I Facci vostri” a causa della vittimizzazione secondaria: «E che dice il comitato etico della Rai? Il servizio pubblico può consentire una lettura del genere sulle donne? Pensateci bene dirigenti di viale Mazzini». Appena una settimana più tardi, arriva la notizia che la Rai non manderà in onda la striscia quotidiana di cinque minuti.

Non meno gravi sono le dichiarazioni di La Russa, padre dell’imputato, sulle tempistiche della denuncia e sulla presunta interrogazione tra le mura domestiche che scagionerebbe il figlio dalla colpevolezza dell’atto. Nel privato, si sa, si realizzano i migliori giochi di ruolo.

L’attribuzione delle responsabilità resta pubblica, regolata dalla legge ed è una livella che non dipende dalla popolarità delle parti. Ciononostante, gli eventi presentati forniscono alcuni esempi – su scala nazionale – degli effetti collaterali che influenzano la volontà delle donne di denunciare un caso di violenza. La gogna sociale e mediatica, per esempio, per aver accusato un intoccabile, accentuata in tanti contesti più remoti del Paese in cui la prossimità degli incontri è certezza e spavento.

I panni sporchi

In Lombardia, dove Facci è iscritto all’albo dei professionisti, era stato chiesto un provvedimento disciplinare con necessaria apertura di un’istruttoria per “valutare se le espressioni usate violino i nostri obblighi deontologici e se siano rispettose della persona che ha denunciato l’accaduto e di tutte le donne“. L’Ordine Nazionale dei Giornalisti aveva inoltrato ufficialmente al Consiglio di disciplina della Lombardia la segnalazione, da parte di CPO, FNSI, Usigrai e Giulia Giornaliste, sul “caso Facci” per quella che si individuava “come grave violazione alla nostra Carta dei Doveri e, in particolare, all’art. 5bis“. Quelle parole, scriveva l’Ordine, sono intollerabili: «Non sono i toni “dissacranti e ironici” a turbare, ma la totale insensibilità su un problema che sconvolge le donne, tutte le donne, con un approccio disposto a violare ogni codice di civile rispetto».

Il testo parla chiaro, il rispetto delle differenze di genere è una fattispecie soggetta a tutele speciali. La norma dovrebbe invitarci a riflettere sulla scarsa qualità dell’informazione per i casi che riguardano le violenze. Si legge che il/la giornalista deve prestare attenzione a evitare stereotipi, espressioni e immagini lesive della dignità della persona. Sempre lo/a scrivente deve attenersi a un linguaggio rispettoso, corretto e consapevole. Fin qui, la disciplina appare pura deontologia, ma la norma specifica che chi scrive deve prestare attenzione a non alimentare la spettacolarizzazione della violenza. Infine, il/la giornalista dovrebbe assicurare una narrazione rispettosa dei familiari delle persone coinvolte. Quale miglior occasione per diffondere l’immagine di un maschio alpha?

In sostanza, Facci potrebbe essere identificato semplicemente come un pessimo giornalista. Tuttavia, avendo colto nel segno (contrario) lo spirito della norma, dovrà essere bollato anche come un misogino. Eppure, visti i trascorsi, non stupisce.

Non si può più dire niente

Filippo Facci pare aver accumulato un curriculum di espressioni infelici in quanto a misoginia. Nel 2018 scriveva: «La ragazza ha lamentato che “la mia infanzia è stata rubata”. Per quella cifra [un miliardo di dollari di risarcimento per lo stupro subito] è lecito chiedersi quanti si farebbero derubare dell’infanzia, non una, ma anche due, tre volte…». Nel 2020, pubblicava su Twitter un “Contro il cessismo” riferito a Michela Murgia. Un odio da incel già di per sé insopportabile, men che meno se a professarlo è un giornalista. Un professionista che lavora con l’opinione pubblica, la orienta e la informa.

Sono e restano fatti nostri se a un “professionista” dell’odio viene anche soltanto avanzata la proposta di conduzione di un programma su Rai2. Esiste una tutela democratica, che si esprime con il dissenso delle opposizioni, ma esiste anche una tutela etica, che concerne la qualità delle scelte nel servizio pubblico. L’articolo è stato commentato da diversi lati dell’opposizione, ma anche da esponenti del CdA Rai. Da Vilnius, la presidente Giorgia Meloni aveva concluso il vertice Nato dicendosi solidale con chi subisce violenza, senza porsi problemi sui tempi, mentre la rete DiRe – Donne in Rete contro la violenza denunciava le posizioni del Governo: «La Ministra Roccella ha l’obbligo di rappresentare e difendere le donne che si trovano in situazioni di violenza o che denunciano. Ignorare questa responsabilità è un grave errore e mette in discussione l’impegno del governo nel contrastare la violenza di genere». Sarà per questo motivo che Meloni auspica che la politica ne resti fuori.

Sara C. Santoriello

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