Elezioni politiche 2022: la sinistra che non c'é
Da sinistra: il portavoce di "Unione Popolare" Luigi De Magistris, il segretario del Partito Democratico Enrico Letta e il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte. Fonte: Wikimedia Commons.

Se si rivolge uno sguardo disattento alle schede elettorali delle elezioni politiche del 25 Settembre non si ravvisa di certo scarsità, bensì la fin troppo consueta abbondanza, di simboli che si richiamano a vario titolo alla tradizione politica della sinistra. La scelta non manca, dalla socialdemocrazia più tiepida, al neo-sovranismo rossobruno. Eppure, tra appelli al voto per contrastare una Destra arrembante e più che mai radicalizzata e un pizzico di sano cinismo, si può intuire che quella vasta possibilità di scelta sia solo apparente, fittizia, illusoria. Quasi beffarda. Per calcolo aritmetico, sondaggi alla mano? Per le complesse formule della legge elettorale Rosatellum? Per le logiche parimenti perverse del voto utile e del voto ideologico? Non proprio, non solo.

Per intendersi, si prenda pure in prestito “Pronti“, lo slogan elettorale futurista, militaresco e sedizioso di matrice meloniana. Ecco, la sinistra non è pronta, in Italia in particolar modo. Anzi, non ha ancora neppure cominciato a confrontarsi con la società contemporanea, quella scaturita dalla globalizzazione e dalla fine del socialismo reale, e a gettare le fondamenta per la costruzione di un rinnovato rapporto con l’elettorato. Così, è probabile che quello che si presenterà il 26 settembre sarà uno dei peggiori risultati elettorali di sempre per le sinistre in termini di rappresentanza parlamentare, forse secondo solo a quello del 4 marzo 2018. A cosa si deve una crisi che è ormai più che elettorale è sistemica, e che non pare aprire spiragli a trasformazioni significative?

Sinistra, da idea politica a idea morale: un deficit di credibilità

Tutte le formazioni partitiche e le coalizioni di sinistra che competono alle imminenti elezioni politiche 2022 sono in un certo senso complementari: le consuete e tradizionali differenze “ideologiche” ispirate più o meno al riformismo di governo o al radicalismo ideologico che le contrappongono tra loro o in senso purtroppo lakoffiano alle destre finiscono spesso per rivestire il ruolo di vera e propria raison d’être di questi soggetti politici. Un potente fattore di mobilitazione per militanti e attivisti accaniti, assai meno per la maggior parte degli elettori, quantomeno refrattari all’ipotesi di calarsi nelle trincee dello scontro eminentemente politologico e valoriale.

Il denominatore comune della sinistra italiana, dal Partito Democratico di Letta a Unione Popolare di De Magistris, passando per l’Alleanza Verdi-Sinistra di Bonelli e Fratoianni e per il MoVimento 5 Stelle di Conte è proprio questo: la consistenza impalpabile e nebulosa, o di rimando la propensione al pressapochismo e all’avventurismo, da un punto di vista programmatico e pragmatico.

Lo scontro ideologico, che peraltro sovente scade nel tifo da stadio, non solo manca di interpretare e anzi pare disdegnare i cambiamenti sociali accorsi negli ultimi trent’anni, ma finisce per adombrare ogni proposta politica agli occhi già disattenti della cittadinanza. In questo modo, non si fa che approfondire quel deficit di credibilità già percepito in seguito ad esperienze di governo già particolarmente poco brillanti: dal blairismo renziano fuori tempo massimo, alla gestione bertinottiana di Rifondazione Comunista, all’inconcludenza litigiosa del Prodi II, fino alla risonanza internazionale della parabola del premier greco Tsipras.

Tutte queste parentesi politiche sono accumunate da un inciampo: finiscono nella trappola della politica che si trasforma in morale. La sinistra aveva “un piano”, emerso dalle viscere socio-culturali del Novecento, congegnato e perfezionato per essere messo al servizio di una strutturata finalità politica ed economica, chiaramente intellegibile dalle masse. La sinistra aveva un piano, ora non ce l’ha più. Se non si considera una pur faticosa e legittima preservazione dello status quo. Ha perso l’anima, si grida dalle trincee ideologiche di cui sopra: nulla di più sbagliato. Ha perso il corpo, soprattutto. L’ancoraggio alla “materialità”, dunque, ovvero la sintonia e la conoscenza e l’interpretazione delle “necessità fisiologiche” del pubblico a cui si rivolge.

Che sia sotto il vessillo dell’altruismo “inefficace” o al contrario del cinismo economicista, oppure sotto nessun vessillo per cronica indecisione, la sinistra è percepita, non a torto, come entità morale e non politica. Si tratta di un moralismo al di sopra della storia e delle condizioni di contesto, preoccupato innanzitutto della coerenza con sé stesso. In modo diverso a seconda della varie declinazioni riformiste o massimalista, non pare porsi il problema a far passare le proprie idee con gradualità, incisività e capacità persuasiva. Dal sonno della proposta politica nascono “i mostri” delle semplificazioni: si tratta dell’agitazione dello spauracchio delle destre (per la verità più che concreto, ma non bastevole a sussumere da solo una campagna elettorale come quella delle elezioni politiche 2022) per i moderati. Viceversa il rimprovero ideologico sui temi della purezza alla sinistra “meno sinistra”, senza saper per altro offrirvi alternative credibili, per i radicali. Quindi, sia gli uni che gli altri si limitano ad erigere steccati tra giusto e sbagliato.

Su Ucraina, ambiente e lavoro: alle elezioni politiche 2022 “poche idee ma confuse”

Per fare degli esempi e rendere l’idea si può fare riferimento ad alcune delle questioni nodali non solo delle elezioni politiche 2022 ma della nostra contemporaneità, come la guerra in Ucraina, la questione ambientale e le esigenze del mercato del lavoro. Infatti: l’improvvisa invasione militare scatenata da Vladimir Putin contro gli ucraini ha mostrato tutta l’inconistenza delle sinistre di ogni colore. Tra accettazione acritica del quadro geopolitico internazionale sbilanciato verso Washington e invocazioni alla pace tra il naive e l’inammissibile ammiccamento ai russi, non ha saputo offrire contributi rilevanti e distintivi al dibattito pubblico che aderissero alla complessità del reale e non fossero puramente ideologici.

Lo stesso si può dire per quanto riguarda la transizione energetica ed ecologica, dove il green-washing dei piccoli passi della sinistra moderata, troppo lontana dagli obiettivi climatici minimi posti dalla comunità scientifica, si accompagna all’intransigenza ideologica di quella sinistra radicale che, ad esempio, si oppone all’implementazione del nucleare, dei rigassificatori e dei termovalorizzatori (posizioni più che legittime, ma comunque manchevoli di proposte alternative realizzabili).

Infine, ma non ultimo il lavoro. Ontologicamente inscindibile dal concetto stesso di sinistra socialista o post-socialista, il lavoro rappresenta il “ventre molle” della proposta programmatica dei partiti che si riconoscono a vario titolo in questa storia (e non solo). Chiaramente non esistono formule magiche: il settore dell’economia è scivolato gradualmente dalle mani delle istituzioni pubbliche per essere ceduto all’arbitrio di mercati globali e conglomerati privati. Le responsabilità storiche di questo stato di cose sono complesse, e sono in capo anche al liberismo del blairista e alla reazione all’inefficiente burocratismo di matrice sovietica, ma è rilevante costatare quanto la sinistra italiana non riesca ad esprimere praticamente nulla a proposito della direzione da imprimere al mercato del lavoro. Si parla così di tasse patrimoniali in un contesto di mobilità internzionale di capitali, di misure assistenziali finanaziariamente insostenibili, oppure di un impensabile strascinarsi dello status quo “neoliberale” con impercettibili e tardivi correttivi.

Nessuna idea, insomma. Anzi, troppe. La pace, la lotta di classe o la lotta alle destre, l’ambientalismo: solo idee di giusto e sbagliato, senza una prassi riconoscibile e credibile. Non a parere di chi scrive, ma a parere di chi vota (anche per queste elezioni, scommettiamo?). Un’approccio moralista, appunto, che nulla ha a che vedere con la politica. Si tratta di una perversione e di un fraintendimento della “questione morale” posta dal segretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer, proprio in risposta al fenomeno storico della crisi delle ideologie e della sinistra. Quello che ne è risultato è stato però un posizionamento senza spessore, spesso frainteso, per giunta caratterizzato dal fastidioso e più o meno esplicito intento moralizzatore. Del resto, se la moralità è serietà il semplice moralismo è percepito, spesso a ragione, come propaganda.

Una sinistra verosimile, prima di tutto

Se i movimenti politici di sinistra non sono e non possono (più) essere una “fede” perché le categorie e la struttura sociale sono irreversibilmente mutate allora dovrebbero tornare a farsi “materia”. Se non restituiscono certezze, e meno che mai possono in una contemporaneità segnata da incertezze e turbamenti, nella quale la soglia dell’impossibile si espande, devono condividere e rielaborare “il dubbio” in sintonia rispetto alla cittadinanza. Non devono abbandonarsi alla sola dimensione del conflitto, ma neppure rinunciare alla possibilità di andare a sostanziare le esigenze di cambiamento. Insomma, le sinistre devono agire in nome di una visione verosimile e proporre una concreta possibilità al riscatto socio-economico.

Le elezioni politiche 2022 lasceranno senz’altro un profondo vuoto in questo senso. Colmarlo sarà un’operazione ardua, che non avverrà all’indomani di un risultato elettorale con segno più e col segno meno e che si trova sospesa tra il possibile e l’impossibile. Una consapevolezza che chiunque creda di appartenere a questo spazio politico porta già con sé: ad oggi la sinistra è solo una parola, forse un’idea, sicuramente non un fatto. È “la sinistra che non c’è”, un luogo politico simile a l’Isola che non c’è di James Matthew Barrie e di Edoardo Bennato. Un’utopia ideale, non pienamente raggiungibile nel mondo reale. Che forse in tanti, non colpevolmente, abbiamo perso la capacità di immaginare.

Luigi Iannone

Luigi Iannone
Classe '93, salernitano, cittadino del mondo. Laureato in "Scienze Politiche e Relazioni Internazionali" e "Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica". Ateo, idealista e comunista convinto, da quando riesca a ricordare. Appassionato di politica e attualità, culture straniere, gastronomia, cinema, videogames, serie TV e musica. Curioso fino al midollo e quindi, naturalmente, tuttologo prestato alla scrittura.

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