Prima la censura nel settore scientifico, con la cancellazione di dati, il divieto all’utilizzo di alcuni termini nelle pubblicazioni e lo stop ai finanziamenti alle agenzie di ricerca. Poi la censura ai temi di diversità e inclusione, con la soppressione di tutti i programmi di sostegno a tali politiche e la successiva cancellazione di ben 26.000 immagini che esprimono o rimandano a tali concetti. Infine, la restrizione imposta ad alcune testate giornalistiche di accedere alla sala stampa presidenziale, a causa delle loro ritenute posizioni critiche contro l’amministrazione. Ora è giunto il turno degli artisti, compreso Bruce Springsteen. Sono loro le prossime vittime della politica censoria che Donald Trump sta, più o meno subdolamente, portando avanti sin dal giorno del suo insediamento. A farne le spese sono soprattutto gli artisti “scomodi”, coloro che decidono di criticare apertamente l’operato del Presidente degli Stati Uniti.
Tuttavia, se finora il bavaglio aveva assunto la forma di provvedimenti legislativi, nel caso degli artisti la censura trumpiana si caratterizza per dei contorni del tutto particolari, dal momento che viene attuata attraverso comportamenti e dichiarazioni – in alcuni casi minacciose – tali da disincentivare o addirittura punire la presa di posizioni su determinati temi, e quindi un tipo di censura indiretta, subdola, celata.
In effetti, sembra nascondersi qualcosa di più dietro alla recente tendenza di Donald Trump a insultare pubblicamente i maggiori esponenti del mondo musicale americano. Più che una semplice vendetta personale verso gli artisti che non l’hanno supportato durante la campagna elettorale, la lotta del Presidente contro rock/pop star e attori somiglia a una vera e propria strategia politica. L’ultimo a essere stato preso di mira in tal senso è Bruce Springsteen, leggenda del rock americano e mondiale, da sempre voce dell’America dei deboli, degli ultimi, ma soprattutto dei sognatori. Il Boss è stato pubblicamente insultato dopo che, durante la serata d’apertura del suo nuovo tour europeo, aveva fortemente criticato le recenti politiche del governo americano riferendosi a Trump come un presidente inadeguato.
In risposta Trump lo ha definito un artista mediocre, un idiota e una prugna secca. Al di là dei gentili insulti verso una delle personalità più influenti e rinomate del panorama artistico internazionale, ciò che ha colpito è stato il riferimento di Trump alle possibili ripercussioni a carico di Springsteen al suo rientro in America («Farebbe bene a tenere la bocca chiusa fino a quando non torna in patria… vedremo come gli andranno le cose»). Questa velata minaccia ha trovato poi conferma nell’annuncio, a pochi giorni di distanza, dell’imminente apertura di un’indagine volta a verificare il possibile pagamento di Kamala Harris in favore dello stesso Springsteen in cambio del suo endorsement durante l’ultima campagna elettorale per le presidenziali americane. Trump ha anche fatto allusioni a presunti pagamenti ricevuti da altri artisti come Beyoncé e Taylor Swift, oltre che Bono Vox, leader degli U2 – se non fosse che quest’ultimo non è americano, e tra l’altro non ha mai preso parte a comizi o iniziative a sostegno di Harris.
Insomma una caccia alle streghe, volta a indebolire artisti di successo notoriamente di fede democratica e mirata a disorientare i relativi seguaci, ma che si fonda su null’altro se non comportamenti insolenti, illazioni e fake news. La gravita delle dichiarazioni del Tycoon ha spinto addirittura l’American Federation of Musicians (AFM), sindacato dei musicisti americani, a intervenire sulla vicenda e a diramare un comunicato in difesa dei suoi membri. Oltre a elogiare la musica di Sprinsgteen e Swift, l’AFM ha voluto sottolineare come i musicisti godano del diritto alla libertà di espressione, quello stesso diritto che Trump sta al contrario cercando di soffocare e sopprimere insieme a tanti altri diritti, anche attenenti alla sfera umana.
In risposta, come se non bastasse, Trump ha anche condiviso sulla sua piattaforma Truth Social un videomontaggio in cui lo si vede colpire Bruce Springsteen con una pallina da golf mentre quest’ultimo si trova sul palco, causando la sua caduta. Il video, sebbene sia subito diventato virale, non è andato esente da critiche, con la maggior parte degli utenti che ha fatto riferimento all’inappropriatezza e all’infantilità del comportamento di Trump, sottolineando che un presidente dovrebbe occuparsi di altro.
In effetti, nonostante le numerose situazioni critiche che lo vedono coinvolto sul piano dell’economia, della geopolitica e dei diritti umani, sembra che “the Donald” non abbia nulla di meglio da fare che distruggere pubblicamente coloro che non lo hanno sostenuto durante la campagna elettorale, con l’obiettivo preciso di far passare un messaggio punitivo, di censura verso i messaggi e le idee che questi artisti trasmettono.
Ma c’è una cosa che Donald non ha tenuto in conto. Far tacere un artista non è facile. Ha ragione Robert De Niro, che qualche settimana fa, durante la cerimonia di apertura del 78esimo festival di Cannes, si è espresso in maniera molto netta in difesa della libertà e del cinema. Le sue dichiarazioni non sono passate inosservate, in quanto hanno espresso un preciso messaggio di denuncia. De Niro ha ricordato infatti come la libertà costituisca il presupposto dell’arte, come l’arte unisca le persone e includa la diversità e come gli artisti, uniti, insieme, possano rappresentare l’unico vero ostacolo all’autocrazia.
Alle parole di De Niro va aggiunto che, in particolar modo, non è facile far tacere uno come Springsteen. O meglio, non è facile sopprimere, cancellare, far passare inosservati i messaggi di speranza che sono insiti nelle sue canzoni e che il Boss trasmette soprattutto durante i suoi leggendari concerti. L’America che racconta e che ha raccontato Springsteen durante gli ultimi 50 anni non è certamente l’America di Trump. Perché nell’America di Springsteen c’è posto per tutti. Non è un caso se il Boss abbia deciso di intitolare il suo attuale tour europeo “the Land of hope and dreams tour”, dal titolo di una delle sue canzoni più note. Un tour che è anche un manifesto politico di un’America solidale che in tanti ancora sperano di vedere. Un tour durante il quale Bruce Springsteen vuole continuare a combattere per l’America che racconta nelle sue canzoni.
C’è un passaggio della canzone da cui prende il nome il tour che parla di salire a bordo di un treno, lasciarsi indietro il dolore e partire alla volta di una terra fatta di speranza e di sogni: “Questo treno trasporta santi e peccatori, questo treno trasporta perdenti e vincitori, questo treno trasporta anime perdute, i sogni non verranno ostacolati, la fede sarà ricompensata”. Il treno di cui parla Bruce Springsteen trasporta tante anime, alcune delle quali Donald conosce bene, come gli emarginati, i migranti deportati, i dissidenti perseguitati, i bambini poveri abbandonati alla malattia e alla morte, i lavoratori sfruttati, gli studenti espulsi, i ricercatori e giornalisti censurati, le comunità discriminate.
Ma si tratta di un treno particolare, perché accoglie anche i privilegiati, chi ha emarginato gli emarginati. È un treno che trasporta ricchi e poveri. Un treno che si rivolge a chi nella vita ha sempre perso e a chi, per merito o per caso, si è ritrovato vincitore. Ma soprattutto, è un treno che trasporta gli errori di ognuno dei passeggeri e che, senza promettere perdono o minacciare punizioni, assicura che la fede di ogni passeggero sarà ricompensata e che i loro sogni non saranno ostacolati. Sul treno diretto verso la terra dei sogni e della speranza c’è posto per tutti, anche per Donald, se lo vorrà, quando avrà desistito con la censura e avrà capito che l’arte e il dissenso non possono essere messi a tacere.
Amedeo Polichetti