Ben prima delle prime ipotesi di “settimana corta”, attorno agli anni ’70, in Gran Bretagna si parla per la prima volta di “work-life balance“, una locuzione per indicare una condizione di equilibrio e perfetta armonia tra la vita lavorativa e la sfera privata della persona.
Parlare di work-life balance porta a pensare esclusivamente ad un incremento del tempo libero, ma così non è. Il benessere psico-fisico che questo modello organizzativo mira a promuovere fa altresì riferimento ad un aspetto vitale, ovvero quello della propria condizione psicologica. Secondo i risultati di uno studio condotto per quasi quattro anni dalla Federazione Italiana Aziende Sanitarie Ospedaliere (FIASO) su un campione di circa 65 mila lavoratori, in Italia un lavoratore su quattro soffre di stress lavoro-correlato.
I fattori che determinano tale condizione possono essere un’eccessiva quantità di lavoro da eseguire o un tempo insufficiente per portarlo a termine in maniera soddisfacente, una ricompensa non proporzionale alla prestazione, l’impossibilità di esprimersi, la mancanza di collaborazione da parte di superiori e/o colleghi, situazioni di mobbing.
Le conseguenze più rilevanti dello stress lavoro-correlato sono le malattie cardiovascolari, i disturbi del sonno ed il suicidio. Tale fenomeno è molto più diffuso in Giappone ed è conosciuto con il nome di “karoshi“, morte per eccesso di lavoro. È un fatto sociale ben radicato nella cultura giapponese in quanto si è portati a pensare che lavorare oltremodo dimostri dedizione e rispetto nei confronti dell’azienda e del superiore.
Da tempo, diversi Paesi sperimentano nuovi modelli organizzativi volti a conciliare la produttività aziendale ed il benessere psico-fisico dei dipendenti, aspetti tra loro strettamente correlati. Una novità a tal proposito è costituita dalla “settimana corta”, ossia quattro giorni di lavoro e tre di riposo, attraverso una rimodulazione delle ore giornaliere lavorative.
A Tokyo, nel 2019, Microsoft ha deciso di chiudere per un mese gli uffici dal venerdì alla domenica. Rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, la produttività risultava aumentata del 39,9% e i costi dell’elettricità ridotti del 23,1%. Anche l’Università di Cambridge ha condotto un esperimento simile, il “4 Day Week“, coinvolgendo per sei mesi 61 aziende e circa 2900 lavoratori di diversi settori (rivenditori online, negozio locale di fish and chips, società di consulenza, cura della persona, marketing).
Dai risultati è emerso come il 39% dei dipendenti ha affermato di sentirsi meno stressato, ed oltre il 50% di riuscire a conciliare meglio vita e lavoro, ottenendo quindi una riduzione del 65% dei giorni di malattia e di ferie e del 57% del turnover. L’obiettivo ultimo dell’organizzazione 4 Day Week Global è difatti quello di promuovere il modello 100-80-100: 100% della retribuzione per l’80% del tempo, con il 100% della produttività. In Italia questo modello organizzativo è ancora circondato da dubbi. Difatti, solo poche aziende hanno deciso di sperimentarlo. Tra queste vi è Intesa Sanpaolo, che da gennaio offre la possibilità, su base volontaria, di lavorare 4 giorni a settimana aumentando però le ore giornaliere a 9. Ma quali possono esseri vantaggi e i rischi del modello della settimana corta?
Quali vantaggi?
- Miglioramento del benessere delle persone
La settimana corta contribuisce a ridurre situazioni di stress e burnout e, di conseguenza, di turnover aziendale. Questo deriva dal fatto che avendo più tempo da dedicare alla propria sfera privata, le persone avvertono un senso di soddisfazione che inevitabilmente si ripercuote sul lavoro, risultando così maggiormente concentrate ed impegnate nel raggiungimento degli obiettivi lavorativi previsti. - Miglioramento organizzativo e employer branding
Questo modello organizzativo può costituire uno “shock culturale” capace di indurre aziende e datori a ripensare l’organizzazione del lavoro puntando al miglioramento sia interno al contesto lavorativo sia esterno in termini di employer branding. Coloro che adottano un sistema di work-life balance godono infatti di una maggiore attrattività e competitività positiva nel mercato del lavoro. - Aumento della sostenibilità ambientale ed economica
La riformulazione delle giornate lavorative porta ad una conseguente riduzione dei costi energetici aziendali e della congestione del traffico, ma soprattutto alla diminuzione delle emissioni di CO2, aspetto fondamentale per la salvaguardia del nostro pianeta.
Quali rischi?
- Aumento della pressione lavorativa
Ciò che spaventa è l’eventuale pressione psicologica, da parte del datore o dell’azienda nei confronti del dipendente, scaturita dal timore di non registrare i medesimi risultati. Si rischia quindi di creare aspettative che inevitabilmente comprometterebbero anche la sfera privata e il fine ultimo della sperimentazione. - Difficoltà a garantire socializzazione nel team
Questo è un aspetto che preoccupa in particolar modo quelle realtà ove è il dipendente ad organizzare la propria settimana lavorativa in funzione alle sue esigenze, sottovalutando quelle dell’intero gruppo di lavoro. In questo modo si pregiudicherebbe il corretto funzionamento dell’area di coordinamento ed il valore del team building, ottenendo così una progressiva perdita di appartenenza positiva all’ambiente di lavoro ed un incremento del senso di estraniazione e solitudine che non giovano al benessere psico-fisico della persona. - Possibile riduzione dello stipendio
Non è da escludersi che, pur lavorando un giorno in meno, le ore settimanali rimangano invariate. Questo implicherebbe, di conseguenza, una diminuzione dello stipendio, aspetto di rilevante importanza e che non tutti sarebbero disposti ad accettare.
Per evitare di imbattersi nei potenziali rischi sopracitati, sarebbe innanzitutto opportuno coinvolgere i dipendenti nell’ipotesi di un cambiamento così importante come quello dell’introduzione della settimana corta ascoltando le esigenze dei singoli ed accogliendo le loro opinioni. Pianificato il nuovo assetto organizzativo, è fondamentale affiancare i lavoratori – soprattutto nelle prime fasi, di sperimentazione ed adattamento – affinché vengano mantenute le premesse del progetto stesso, ossia di focalizzarsi sull’obiettivo durante le ore di lavoro rispettando gli orari stabiliti e dedicandosi così al proprio benessere psico-fisico una volta varcata la soglia dell’ufficio, creando confini netti e precisi tra la sfera lavorativa e quella privata.
Dall’analisi dei pro e dei contro derivanti dall’introduzione della settimana corta come sperimentazione di un nuovo work-life balance notiamo quindi che si tratta di un processo graduale che deve tener conto delle esigenze dell’intera collettività – del datore di lavoro, dei dipendenti e della società in quanto fruitrice di beni e servizi. A tal fine è basilare imboccare la strada del cambiamento di mindset e dell’innovazione attraverso percorsi di formazione e di aggiornamento. In secondo luogo, è necessario analizzare l’applicabilità della strategia ai diversi settori lavorativi e, in seguito, monitorare il cambiamento studiando gli effetti sulle performance ottenute.
Aurora Molinari