Il 7 ottobre 2024 segna il triste anniversario di uno degli eventi più drammatici nella storia recente del Medio Oriente. Un anno fa, l’organizzazione palestinese Hamas lanciava un’operazione militare contro Israele, segnando un nuovo capitolo della Guerra israelo-palestinese. Una guerra che ha trasformato radicalmente la regione e ha avuto ripercussioni globali.
Al’alba del 7 ottobre 2023, militanti di Hamas, sfruttando una combinazione di razzi, droni e incursioni via terra, hanno superato le barriere di sicurezza israeliane, infiltrandosi in diverse comunità nel sud di Israele. L’attacco ha colto di sorpresa le forze di sicurezza israeliane, risultando in un alto numero di vittime civili israeliane. Secondo le autorità israeliane, circa 1.200 persone, la maggior parte delle quali civili, sono state uccise durante l’attacco, e 133 ostaggi sono stati portati nella Striscia di Gaza. Mentre questi atti sono stati ampiamente condannati come crimini di guerra, è importante contestualizzarli all’interno della lunga storia di oppressione e violenza subita dal popolo palestinese.
L“Operazione Spade di Ferro“ è invece la risposta contro Hamas nella Striscia di Gaza. Tuttavia, la risposta israeliana è stata ampiamente criticata per la sua sproporzionalità e per l’alto numero di vittime civili palestinesi. Secondo le autorità sanitarie palestinesi, più di 41.000 palestinesi, la maggior parte dei quali civili, inclusi oltre 17.000 bambini, sono stati uccisi. Questa cifra è aumentata drasticamente nei mesi successivi, con il conflitto che si è protratto per tutto il 2024.
Israele ha imposto un blocco totale sulla Striscia di Gaza, tagliando l’accesso all’acqua, all’elettricità e al carburante, azioni che costituiscono una punizione collettiva e sono considerate crimini di guerra. I bombardamenti israeliani hanno colpito indiscriminatamente aree civili, inclusi ospedali, scuole e campi profughi, in apparente violazione del diritto internazionale umanitario. L’intensità dei bombardamenti israeliani e l’operazione di terra hanno causato una catastrofe umanitaria senza precedenti nella Striscia di Gaza. L’infrastruttura civile è stata gravemente danneggiata, rendendo la vita quotidiana estremamente difficile per la popolazione.
Più di 1,9 milioni di persone, ovvero quasi l’intera popolazione di Gaza, è stata sfollata, creando una crisi di rifugiati di proporzioni storiche. Le organizzazioni umanitarie internazionali hanno ripetutamente lanciato l’allarme sulla situazione catastrofica, denunciando la mancanza di cibo, acqua potabile, medicinali e carburante. Il blocco israeliano ha severamente limitato l’ingresso di aiuti umanitari, aggravando ulteriormente la situazione. Stime ONU indicano che oltre l’80% della popolazione di Gaza non è più in grado di sostentarsi autonomamente.
Mentre l’attenzione mondiale si è concentrata su Gaza, la situazione in Cisgiordania è notevolmente peggiorata. Secondo le Nazioni Unite, dall’inizio del 2023, le forze israeliane hanno ucciso 464 palestinesi in Cisgiordania, inclusi 109 bambini, più del doppio rispetto a qualsiasi altro anno dal 2005. Le incursioni dell’esercito israeliano sono aumentate, così come gli attacchi dei coloni contro i palestinesi. Questi attacchi, spesso condotti con l’apparente complicità delle forze di sicurezza israeliane, hanno portato a sfollamenti forzati, distruzione di proprietà e perdita di vite umane tra i civili palestinesi.
Sebbene gli Stati Uniti abbiano inizialmente ribadito il loro sostegno a Israele, molti paesi europei e arabi hanno chiesto un cessate il fuoco immediato e la protezione dei civili. Pertanto, nessuno ad oggi è intervenuto concretamente affinché questo massacro venga fermato. Le Nazioni Unite hanno ripetutamente condannato sia l’attacco di Hamas che la risposta sproporzionata di Israele. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha tentato più volte di adottare risoluzioni per un cessate il fuoco, ma molte di queste sono state bloccate dal veto degli Stati Uniti.
Tuttavia, con il protrarsi del conflitto e l’aumento delle vittime civili, anche gli Stati Uniti hanno iniziato a mostrare segni di cambiamento nella loro posizione. Il presidente Biden ha avvertito che condizionerebbe ulteriori trasferimenti di armi all’adesione di Israele al diritto internazionale umanitario. Il conflitto ha avuto un profondo impatto sulla politica interna sia in Israele che nei territori palestinesi. In Israele, il governo Netanyahu è stato oggetto di intense critiche per non aver previsto e prevenuto l’attacco del 7 ottobre e per la gestione della guerra.
Nei territori palestinesi, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) in Cisgiordania ha visto ulteriormente erosa la sua legittimità. Molti palestinesi hanno criticato l’ANP per la sua incapacità di proteggere i civili e per la sua percepita collaborazione con Israele. Il conflitto ha avuto ripercussioni economiche significative, non solo per Israele e i territori palestinesi, ma per l’intera regione. L’economia palestinese, già molto provata, ha quindi subito un notevole peggioramento.
A livello geopolitico, il conflitto ha riportato la questione palestinese al centro dell’agenda internazionale. Gli Accordi di Abramo, che avevano visto la normalizzazione dei rapporti tra Israele e alcuni paesi arabi, sono stati messi a dura prova. Ad un anno dall’inizio di questo genocidio, non sembrano esserci prospettive di pace. La fiducia tra le parti è ai minimi storici, e le posizioni si sono ulteriormente radicalizzate. La soluzione dei due Popoli due Stati sembra più lontana che mai.
Le sfide per raggiungere una pace duratura sono molteplici e includono:
- La ricostruzione di Gaza, che richiede uno sforzo economico impressionante.
- Il futuro politico palestinese e la necessità di una leadership unificata.
- La garanzia della sicurezza per tutti i civili, sia israeliani che palestinesi.
- La questione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, che continua a essere un ostacolo significativo per qualsiasi soluzione di pace.
- Il ruolo della comunità internazionale nel facilitare una soluzione equa e duratura.
Mentre riflettiamo su questo anno di conflitto, emerge una realtà inquietante che va oltre la semplice definizione di guerra: le azioni del governo israeliano, che molti critici descrivono come un regime sempre più autoritario, hanno sollevato gravi preoccupazioni nella comunità internazionale.
L’intensità e la natura indiscriminata degli attacchi in questa nuova triste pagina della guerra israelo-palestinese contro la popolazione civile di Gaza, unita al blocco totale che ha privato milioni di persone di beni essenziali come cibo, acqua e cure mediche, hanno portato numerosi osservatori e organizzazioni per i diritti umani a sollevare l’allarme. Molti sostengono che queste azioni non rappresentino solo una risposta militare, ma si configurino come un tentativo sistematico di sradicare la presenza palestinese da questi territori.
Il numero sproporzionato di vittime civili palestinesi, la distruzione di intere aree residenziali, ospedali e scuole, e lo sfollamento forzato di quasi due milioni di persone fanno pensare più a una pulizia etnica e ad un genocidio per descrivere la situazione. La comunità internazionale si trova ora di fronte a una sfida cruciale: come porre fine a questo ciclo di violenza e garantire la protezione dei diritti umani fondamentali per tutti i popoli della regione. È essenziale che si agisca con urgenza per fermare la perdita di vite umane, garantire l’accesso agli aiuti umanitari e avviare un processo di pace che affronti le cause profonde del conflitto.
Solo attraverso un impegno sincero per la giustizia, il rispetto del diritto internazionale e il riconoscimento dei diritti inalienabili di tutti i popoli si potrà sperare di porre fine a questa tragedia e costruire un futuro di pace e coesistenza nella regione.
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Gianluca De Santis