Lo scorso 28 novembre una nuova pagina della guerra civile siriana è stata scritta, una pagina lunga 11 giorni. Il tutto comincia quando un’alleanza di gruppi armati guidati da Hayat Tahrir al Sham (HTS) ha avviato un’offensiva nel nord-ovest della Siria, in direzione di Aleppo, la seconda città più importante della nazione. Da lì in poi un’escalation di 11 giorni ha portato alla conclusione di una guerra civile iniziata nel 2011 sulla scia delle primavere arabe. Era il 15 marzo 2011 quando migliaia di persone scesero per le strade di Damasco e Aleppo per manifestare contro il regime di Bashar al Assad. Rivolte che si trasformarono poi in una guerra civile combattuta tra le milizie e l’esercito di Assad, il quale fece molta fatica durante i primi anni del conflitto e fu tenuto in vita dal sostegno militare della Russia, dell’Iran e di Hezbollah.
Negli ultimi anni la situazione si era stabilizzata a favore di Assad, che era riuscito a tenere il controllo sulle più grandi città del paese e a ricacciare i ribelli in piccole aree periferiche, come quella di Idlib nel nord, da cui è partita l’offensiva di HTS. Nel giro di pochi giorni HTS ha conquistato prima Aleppo, poi Hama e infine Homs, le principali città sul cammino per Damasco. Mentre il 6 dicembre qualcosa ha iniziato a muoversi anche a sud e a est, con le conquiste di Daraa e Deir Ezzor da parte dei gruppi insorti. L’inaspettata e sorprendente offensiva ribelle è entrata a Damasco l’8 dicembre, decretando la fine del regime di Assad, nel frattempo fuggito in Russia dall’alleato Putin. Il capo di HTS, Abu Mohammed al Jolanda, ha chiesto ai ribelli di stare lontano dalle sedi istituzionali e governative, parlando di transizione ordinata e pacifica del potere. Lo stesso ha dichiarato il primo ministro del regime di Assad, Mohammed Ghazi al Jalali.
Dopo la caduta di Assad, gli alleati hanno ritirato le loro forze. Tra questi, la Russia è quella con sicuramente più interessi di tutti sul territorio siriano, grazie alle proprie basi aeree e navali che garantiscono alla Russia uno sbocco sul Mediterraneo. Nei giorni della caduta di Assad sono stati molteplici i segnali che mostrano come la Russia voglia adattarsi alla situazione per tutelare i propri interessi: ad esempio, nel giro di un giorno i ribelli sono passati dall’essere “terroristi” all’essere “un’opposizione armata”. Oppure ancora è da notare il fatto che i media russi, che fino a poco tempo fa sostenevano Assad, ora lo definiscono come un corrotto che ha portato la Siria alla rovina.
Ma la situazione vede coinvolti altri paesi al di fuori degli alleati di Assad. In particolare, sono 3 i paesi che ad oggi continuano a bombardare la Siria: Stati Uniti, Turchia e Israele. Gli Stati Uniti, attivi militarmente da alcuni anni nella regione per combattere lo Stato Islamico, hanno compiuto centinaia di bombardamenti contro le sue posizioni. A detta di Blinken, segretario di stato americano, i bombardamenti sono stati eseguiti per evitare che lo Stato Islamico approfitti della situazione in Siria. La Turchia invece ha ottimi rapporti con HTS e con gli altri gruppi che ha sostenuto in questi anni. Attualmente ha l’obiettivo di colpire i curdi, che durante la guerra civile siriana hanno di fatto creato uno stato autonomo, e hanno approfittato della caduta di Assad per espandersi ulteriormente verso Sud-ovest.
Infine, Israele in pochi giorni ha praticamente distrutto, con centinaia di bombardamenti, il grosso delle capacità militari dell’esercito di Assad, per evitare che i gruppi che l’hanno sostituito possano impossessarsene. Uno degli attacchi più intensi è avvenuto nella città portuale di Latakia, dove Israele ha distrutto una quindicina di navi che corrispondevano alla quasi totalità della marina militare siriana. Sono stati poi colpiti gli hangar dov’erano parcheggiati numerosi caccia ed elicotteri militari. È stato colpito il centro di ricerca scientifica di Barzah, dove si ritiene che il regime di Assad sviluppasse armi chimiche. In pratica, nel giro di pochi giorni, Israele ha disarmato la Siria, o quantomeno l’ha indebolita militarmente. “Vogliamo fare tutto il possibile per garantire la nostra sicurezza” ha dichiarato Netanyahu, anche se è una frase che gli abbiamo sentito spesso ripetere nell’ultimo anno. Oltre ai bombardamenti, ci sono state delle operazioni di terra che hanno accompagnato l’azione israeliana. L’esercito israeliano ha occupato buona parte della zona cuscinetto che divide il confine con la Siria nelle alture del Golan, un territorio conteso da decenni ma che per la comunità internazionale appartiene alla Siria. Il governo israeliano ha dichiarato che si tratterebbe di un’occupazione solo temporanea.
Il regime di Assad era in vigore dal 1970, quando il padre di Bashar, Hafez, conquistò con un colpo di Stato la carica di primo ministro e un anno dopo quella di presidente. Esso si fondava sull’ideologia dell’Assadismo, che metteva insieme elementi di stato totalitario, una repressione assoluta da parte delle forze di sicurezza e un culto della personalità onnipresente. Il tratto distintivo col quale si specializzò il regime di Hafez fu la brutalità e la rapidità con le quali veniva represso ogni tentativo di ribellione. Alla morte di Hafez, in molti sperarono che Bashar avrebbe introdotto riforme liberali. Questo non è accaduto e anzi, fino alla caduta del regime Bashar ha tenuto la linea introdotta dal padre.
Ad oggi c’è molta preoccupazione su quello che sarà il futuro della Siria, in uno scenario che è già molto precario come quello mediorientale. Sul piano internazionale, i rapporti con Israele sono sempre stati complicati: ad esempio, durante il comando di Hafez, la Siria ebbe vari conflitti armati con lo stato israeliano. Adesso bisognerà vedere quali saranno le politiche e le alleanze portate avanti dal nuovo assetto istituzionale siriano, anche in funzione degli attacchi israeliani degli ultimi giorni e considerando gli interessi russi nella regione. Invece, per quanto riguarda la politica interna non bisogna dimenticare che i gruppi ribelli nel corso degli anni hanno avuto vari contatti con lo Stato Islamico, nonché vari infiltrati al suo interno, insinuando la legittima paura, nel popolo siriano di essere passato da un regime totalitario a uno di stampo religioso come lo è stato il califfato o come lo è tutt’oggi il regime talebano. Da tenere sott’occhio la situazione dei curdi, ora lasciati isolati contro l’esercito di Erdogan. Il futuro del Medio Oriente non è mai stato così appeso a un filo, con un Occidente spettatore in prima fila pronto ad approfittarne per i propri interessi. In un contesto già incerto, ferito dal conflitto palestinese, la situazione siriana va ad aggiungere ulteriore tensione in uno scenario che rischia seriamente di alimentare un’escalation di proporzioni impronosticabili.
Fabio Desidery
Ottimo articolo ed analisi, speriamo che la situazione migliori per il popolo curdo!