Che la Gran Bretagna sia in procinto di uscire dall’Unione Europea è ormai cosa nota, anche perché il gergo giornalistico ha saputo coniare una crasi di grande successo che unisce le parole Britain ed Exit, per formare quella Brexit di cui tanti conoscono il significato ma pochi i tempi e le modalità.

In primo luogo, sulla Brexit è importante sapere che l’uscita ufficiale dall’Unione Europea avverrà nel marzo del 2019, quindi fra poco meno di due anni, tempo nel corso del quale non cambierà assolutamente niente tanto per i residenti europei in terra d’Albione quanto per i cittadini comunitari che si recheranno in Gran Bretagna. E non solo: dal momento che i rapporti con l’UE potrebbero rimanere collaborativi, nulla vieta che sarà instaurato un periodo di transizione in cui verrà mantenuta tanto la libera circolazione delle persone quanto l’accesso di Londra al mercato comune.

Ad ogni modo, fra i turisti e i residenti è ovviamente la seconda categoria quella che dorme i sogni più tormentati, visto che, pur con tutti i correttivi e le mediazioni cui abbiamo appena accennato, è indubbio che arriverà il momento in cui i residenti comunitari saranno considerati immigrati a tutti gli effetti: per costoro – italiani compresi – sarà necessario richiedere la residenza permanente, previa compilazione di un questionario di ben 85 pagine, su cui l’ambasciata d’Italia a Londra ha già attivato un servizio di assistenza on line.

In effetti, la questione dell’immigrazione è uno dei principali motivi per i quali si è arrivati alla Brexit, e tutto fa pensare a un futuro ma inesorabile giro di vite nei confronti degli immigrati senza un lavoro.

In altre parole, si profila uno stop ai trasferimenti a Londra per cercare occupazione: dal 2019 in poi sarà necessario dimostrare di possedere già un lavoro al momento in cui si vive in Inghilterra, con facoltà del governo centrale di imporre delle quote prestabilite anche in considerazione dei settori nei quali ci sarà più bisogno di manodopera.

Discorso simile per gli studenti. A differenza di ciò che accade oggi, infatti, chi vorrà recarsi in Gran Bretagna per motivi di studio potrà trovarsi a pagare delle rette universitarie molto più alte di quelle attuali, oltre che a dover sottostare a delle quote migratorie prestabilite.

Una disciplina, insomma, molto simile a quella degli Stati Uniti, dove non ci si può recare, ad esempio, con una semplice carta d’identità, bensì muniti di passaporto nonché di una specifica autorizzazione all’ingresso, l’ESTA (Electronic System for Travel Authorization), che potrebbe essere riproposta, insieme con una tassa d’accesso, per entrare in Gran Bretagna.

A fronte di tutte queste incognite, una delle forti probabilità è che si tornerà al regime dei dazi, con buona pace dei sostenitori della libera circolazione delle merci. Magari non troppo presto e forse non per tutti i settori di mercato, ma in assenza di accordi con l’Unione Europea si prospettano tempi molto duri per chi fa impresa.

Intese che, al momento, sembrano comunque essere una priorità per Theresa May, la quale tuttavia insiste per far passare a Bruxelles le proprie linee guida, incentrate su un trittico di capisaldi, quali la fine della giurisdizione delle Corti europee e della libera circolazione dei migranti e la prosecuzione del libero mercato.

Obiettivi difficili da raggiungere senza concedere qualcosa in cambio, e sempre ammesso che sarà l’attuale premier a condurre le negoziazioni per la Brexit: l’8 giugno prossimo, data delle elezioni anticipate in Gran Bretagna, ne sapremo di più anche su questo punto.

Carlo Rombolà

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