Referendum lavoro e cittadinanza: i 5 quesiti per (ri)organizzare la sinistra

I prossimi 8 e 9 giugno cittadini e cittadine saranno chiamati alle urne per esprimersi sui 5 quesiti del referendum su lavoro e cittadinanza: i primi quattro in materia di lavoro e l’ultimo sulla cittadinanza. I primi, proposti dalla CGIL, chiedono una profonda riforma della vita lavorativa e delle normative sui contratti. In questa occasione, sarà importante votare 5 “Sì” per riorientarsi contro la destra. L’obiettivo principale del sindacato è l’eliminazione dei provvedimenti che hanno contribuito alla precarizzazione del lavoro.

I 5 quesiti del referendum su lavoro e cittadinanza

Il primo dei quattro quesiti chiede l’abrogazione della disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti, introdotto dal Jobs Act; dalla sua approvazione i lavoratori che hanno subito un licenziamento (anche privo di giustificazione), non possono rientrare nel proprio posto di lavoro. Sono oggi circa tre milioni e mezzo di persone interessate da questa condizione.

È pressoché lo stesso numero di lavoratori ad essere colpiti dall’articolo 4 della legge 604 del 1966, anch’esso posto sotto quesito referendario. La sua abrogazione significherebbe la cancellazione del tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese, fissato ad oggi a un massimo di 6 mensilità, anche qualora un giudice ritenga che il licenziamento sia ingiusto.

Nel mirino del terzo quesito ci sono le norme introdotte dal Jobs Act che regolano i contratti di lavoro a tempo determinato. Questa condizione interessa più di 2 milioni di lavoratori in Italia. È impellente, in tal senso, la necessità di ripristinare l’obbligo di una valida giustificazione per il ricorso a questo tipo di rapporto.

Un altro aspetto tristemente noto che caratterizza la vita lavorativa in Italia è la (in)sicurezza sul lavoro, settore in cui il nostro paese registra il tragico dato di 1000 morti all’anno (3 al giorno). Il quinto quesito propone, a tal proposito, di abrogare le norme che limitano la responsabilità dell’impresa appaltante in caso di infortunio, al fine di garantire maggiore sicurezza per i lavoratori.

Il quinto referendum abrogativo, di cui +Europa è primo firmatario, propone di ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia per fare richiesta di cittadinanza, ripristinando una norma in vigore fino al 1992. Il raggiungimento del quorum, a tal proposito, determinerebbe un avanzamento per i diritti e le opportunità di centinaia di migliaia di persone migranti presenti sul territorio.

8 e 9 giugno: come si vota?

Il voto si terrà nei seggi del proprio Comune di residenza, come in ogni consultazione elettorale. Per la prima volta (per quanto concerne i referendum) è prevista anche la possibilità di voto fuori sede, per coloro che si trovano in una provincia diversa per motivi di studio, lavoro o salute. Le modalità di richiesta del voto fuori sede sono disponibili sul sito del Ministero della Giustizia.

Il referendum in piena crisi democratica

In Italia è in crisi l’esercizio della democrazia (dunque la democrazia stessa), e lo testimonia la bassissima affluenza registrata a tutte le tornate elettorali degli ultimi anni. Alle elezioni politiche del 2022 il 63,9% degli aventi diritto ha votato, un dato che certifica uno dei maggiori crolli di affluenza nella storia dell’Europa occidentale dal 1945 ad oggi, nonché il più alto tasso di assenteismo nella storia della Repubblica. Il dato non migliora con le elezioni europee, che hanno registrato un’affluenza di meno del 50%. Alle sole statistiche si unisce una condizione peculiare, spesso terreno fertile per le incursioni autoritarie negli stati democratici: la generalizzata condizione di passività dei cittadini rispetto alla vita politica. Ne è preoccupante segnale la scarsa partecipazione popolare alle mobilitazioni di piazza, ai movimenti, associazioni, partiti e sindacati.

Una forma di democrazia diretta come il referendum, in questa fase storica e politica, è da prendere in carico non solo come mezzo per migliorare le condizioni di lavoro e progredire in materia di inclusione delle persone migranti, ma anche e soprattutto per riattivare gli ingranaggi della democrazia, ormai impolverati. A partire da una spinta popolare e generazionale di partecipazione – individuale e collettiva- mossa dall’urgenza di cambiamento per il paese.

La politica, intesa in senso lato, è organizzazione della comunità – tutta – e non solamente decisioni prese dall’alto e totalmente estranee alla vita di tutti giorni. Quella del referendum, dunque, è l’occasione possibile, ma soprattutto necessaria, di tornare a sentire la politica come un nostro affare. Con l’estrema destra al governo, l’opposizione, parlamentare e sociale, deve assumersi la responsabilità di unirsi sotto battaglie unitarie, esattamente come quella del referendum. Ciò che chiamiamo fronte comune contro la destra non risponde solo al bisogno di essere più della controparte numericamente, facendo tutti un passo indietro e ricominciando a camminare insieme, ma risponde sopratutto alla necessità di proporre un’idea di società plurale contro quella autoritaria del Governo Meloni. Ciò sta in parte succedendo, ma esistono delle condizioni da non sottovalutare e che potrebbero in un futuro prossimo essere motivo di rotture, interne e non.

Il fronte di opposizione istituzionale raramente si costituisce come una reale alternativa anticapitalista: sebbene i 4 quesiti sul lavoro rappresentino un avanzamento non indifferente, gli articoli più problematici del Jobs Act non sono interessati dal referendum, perché un cambiamento sistemico del sistema produttivo non è contemplato. Basti pensare al welfare aziendale, quella norma che riduce i salari dei lavoratori offrendo loro in cambio benefit sanitari, espropriando prestazioni sanitarie alla sanità pubblica come salario, un grave attacco alla sanità e al diritto di accedervi gratuitamente. Non pervenuto nel referendum.

Timido è anche il quesito sulla cittadinanza, che propone di abbassare di 5 anni la residenza continuata sul territorio nazionale, sì, ma lascia intatte le norme circa il divieto di avere contenziosi penali con lo Stato, e la necessità di avere un reddito sufficiente, che sarebbero anche pretese accettabili, non fosse che nulla viene fatto per dare le condizioni ai migranti di stabilirsi facilmente in Italia. Il sistema di accoglienza in Italia fa acqua dappertutto: manca un adeguato supporto psicologico, spesso manchevoli anche le condizioni igieniche minime nei centri, il collocamento lavorativo è insufficiente, presentare le documentazioni in questura è sempre più arduo. Il 28 gennaio a Roma un migrante è morto di freddo fuori all’ufficio dove avrebbe dovuto presentare i documenti per la richiesta di cittadinanza. Nemmeno questo quinto quesito, dunque, assomiglia a una svolta radicale, seppur da un punto di vista tecnico il raggiungimento del quorum inciderebbe realmente sulla vita di alcune fasce di richiedenti.

Il referendum su lavoro e cittadinanza per un fronte comune contro l’ultradestra

Il Governo Meloni, sin dal suo insediamento, ha posto in essere dei gravi attacchi al mondo di sindacati e movimenti. La precettazione a firma Matteo Salvini dello sciopero del 13 dicembre e le frizioni tra CGIL e la Presidente del Consiglio non sono eccessi di zelo, ma tentativi di creare dei precedenti per accanirsi sulle libertà sindacali. Allo stesso modo i ministeri, nei loro ambiti di competenze, hanno sviluppato gli strumenti per “contenere” le proteste in università (Bernini e Piantedosi, maggio 2024), arginare i collettivi studenteschi (DDL condotta) e, su tutti, attaccare i movimenti di lotta nella loro interezza con il DL sicurezza.

Le destre autoritarie hanno, nella storia, dei soggetti a cui sono ideologicamnte avversi, questo succede per soddisfare la necessità di avere nemici interni su cui concentrare l’opinione pubblica, spesso per mascherare la propria insufficienza. Oggi, nell’Italia del 2025, la propaganda xenofoba si riversa su migranti e attivisti di organizzazioni di opposizione (più o meno istituzionali). L’aggressione alle istanze che i movimenti portano avanti hanno una spiegazione: queste sono esattamente l’idea di società che ha in sé gli anticorpi contro il fascismo. Il mutualismo, la valorizzazione di un Paese multiculturale quale siamo – checché ne dicano le strane teorie sulla purezza razziale -, sono le solide fondamenta per arginare l’ultradestra. Con la pericolosa deriva nazionalista di Trump, Orban, ma anche dei governi di Tunisia e Marocco, e con un quadro interno di repressione, morti sul lavoro e precarietà, immaginare un mondo alternativo ai codici binari, esclusivi e borghesi radicati nel nostro sistema politico è la stringente urgenza della nostra fase storica.

Votare “Sì” l’8 giugno forse non sarà la “rivolta”, ma sicuramente un granello di sabbia nell’ingranaggio fascio-repressivo della maggioranza.

Giovanni D’Andrea

Giovanni D'Andrea
Sono Giovanni D'Andrea, ho 20 anni, studio filosofia alla Federico II e sono un attivista e musicista a tempo pieno. Sono a mio agio nelle contraddizioni, in mezzo a chi si siede comodamente dalla parte del torto. La politica e l'espressione artistica sono ciò di cui mi nutro quotidianamente.

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