Il Brexit è ufficialmente iniziato. Il 29 marzo Theresa May ha inviato la lettera di notifica dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk che innesca il formale iter di uscita dall’Unione.
L’Unione Europea perde ufficialmente un suo tassello. Il cosiddetto Black Wednesday per il Brexit è arrivato e l’ala ultraconservatrice del partito tory si fa leader orgoglioso di questo evento storico senza precedenti.
L’articolo 50 TUE è stato scritto paradossalmente da un diplomatico britannico, John Kerr, il quale mai avrebbe pensato che il suo Paese lo avrebbe attivato per la prima volta dopo 44 anni di membership. Quello che doveva essere uno sforzo per rafforzare il valore democratico alla stregua dell’idea costituzionale di Trattato UE dei primi anni duemila è stato poi un’arma della resistente ala euroscettica dell’UK. «Non mi sento colpevole di aver inventato il meccanismo di uscita dall’UE. Sono triste che il Regno Unito lo abbia invocato» è stata la dichiarazione di Kerr.
Non si torna indietro. Davanti alla Camera dei Comuni la premier britannica firma la lettera che notifica l’articolo 50 TUE. Sette pagine che non menzionano la parola Brexit. Sette le volte in cui viene citata la profonda e speciale partnership del Paese con l’Unione europea. Sette i punti chiave dei futuri negoziati tra l’Unione dei 27 e il Regno Unito. Un testo che risalta la necessaria “autodeterminazione” di un popolo che ha seguito sempre “la propria strada” ma nel contempo da grande amico dell’Unione.
Attraverso un rafforzato spirito di sincera cooperazione, in particolare economica e di sicurezza, il processo di uscita non ha alcuna intenzione di rigettare i valori comunitari alla base del progetto europeo.
Ribattendo gli stretti legami economici e finanziari che continueranno ad esistere, la premier viaggia sulla proposta di un accordo di libero scambio tra il Regno Unito e l’UE. Punto che fa presagire la possibilità di rilanciare i tanto temuti accordi quali il TTIP, senza l’assoggettamento a particolari vincoli comunitari. Per di più, celando i latenti timori interni, la lettera calca sull’importanza del processo di pace in Irlanda del Nord – continuando ad appoggiare gli accordi di Belfast – e sulla relazione unica con la Repubblica d’Irlanda sottolineando che il processo di uscita non avrà impatti sulla libera circolazione dei cittadini.
«Non c’è alcun motivo di fingere che sia un giorno felice, né per Brussels né per Londra»: sono state le parole del presidente Donald Tusk alla ricezione della lettera di Theresa May. Nondimeno, il Presidente non nasconde che il primo processo di divorzio dall’Unione ha rafforzato la cooperazione dei 27 Stati membri. Tuttavia, per ora nulla cambia poiché l’iter di uscita sarà graduale. La data ufficiale di questo storico conto alla rovescia è stata stabilita il 29 marzo del 2019, senza escludere possibilità di un’eventuale proroga.
La risposta del Consiglio europeo alla notifica formale non si è fatta attendere. Due giorni dopo, il 31 marzo, sono state lanciate le linee guida per i futuri negoziati con il paese uscente. Un monito di decisione e sicurezza da parte dell’Unione pronta concretamente ad affrontare la sfida del Brexit. Le linee guida elencano le fasi delle trattative lasciando libero arbitrio al Regno Unito di scegliere su quali settori collaborare e in quali mantenere le proprie prerogative sovrane. Ciononostante, le disposizioni ricalcano che il libero commercio non va svincolato alla libera circolazione delle persone.
La reazione di Tusk si riflette nella reazione dei deputati europei che fanno risaltare il potere e prontezza di lavorare sulle trattative, ribattendo ad una tendenza di scherno da parte dei rappresentanti del Brexit in UE. Sebbene i deputati europei non parteciperanno ai negoziati, essi avranno il potere di veto finale all’approvazione dell’accordo in Parlamento europeo con maggioranza semplice, così come potranno decidere se aprire un dibattito pubblico accogliendo i pareri delle più influenti ONG e dei gruppi della società civile.
Tuttavia, il Regno Unito si troverà a scontrarsi non solo con sfide esterne ma soprattuto interne alla Gran Bretagna, in particolare quella di evitare la disunione del Regno Unito.
La sopravvivenza dell’UK dipende da come gestisce i suoi affari interni. La sua uscita calcherà sempre di più i confini con la Repubblica d’Irlanda che potrebbe in un futuro innescare il rilancio di un processo di riunificazione dell’isola, richiamando a sé le sei contee dell’Irlanda del Nord sotto attuale sovranità britannica. Per non parlare dell’idea di un referendum per l’indipendenza della Scozia dal Regno Unito, capitanato dalla decisa premier Nicola Sturgeon e appoggiato dal Parlamento scozzese. Per di più, non è da sottovalutare la questione sul territorio di Gibilterra per il quale l’UK non potrà prendere decisioni senza il consenso della Spagna, così come sancito dalle linee guida summenzionate.
Secondo una visione catastrofica in questo countdown la fiera determinazione inglese potrà portare a celebrare il Brexit come un errore storico, la miccia di una débâcle firmata Theresa May.
Annalisa Salvati