Correrà domani un anniversario importante per la cugina Francia e per tutto il mondo della musica: duecentocinquanta anni fa si spegneva a Parigi Jean-Philippe Rameau (1683-1764). Al suo funerale, che sarebbe avvenuto di lì a pochi giorni in pompa magna al Temple de l’Oratoire del Louvre, possiamo immaginare che fosse certamente presente – o clamorosamente assente, che è lo stesso – l’intero mondo intellettuale parigino. Panche vuote avranno forse lasciato i tanti, tra filosofi, matematici, scrittori o musicisti, che avevano scatenato negli anni contro di lui le più dure opposizioni.
A festeggiare l’evento è stato preposto il Centre de Musique Baroque de Versailles, che ha inaugurato per tutto l’anno una rassegna di concerti, seminarî e conferenze dedicati al compositore e teorico. Solo due giorni fa è stato eseguito, sotto la direzione del camerista Skip Sempé, il Requiem di Jean Gilles (1668-1705), che accompagnò i funerali del compositore e di molti altri personaggi eminenti del Gran Siècle, tra cui quelli di Stanislao Leszczyński (1766), di Luigi XV (1774) e di André Campra (1744).
Si racconta che proprio il vecchio Campra, assistendo all’Hyppolite et Aricie, opera debutto del già cinquantenne Rameau, avrebbe detto che in essa c’era tanta musica da scrivere dieci opere diverse e ne avrebbe profetizzato, in parte correttamente, la futura fama di astro della musica francese.
Pur sempre sotto i riflettori del mondo intellettuale parigino, Rameau fu odiato dai lullisti, che detestavano le complesse architetture della sua musica; avversato dagli ecclesiastici per la sua vicinanza al mondo illuminista; criticato da alcuni illuministi per la sua vicinanza al Regime e da molti scienziati per i suoi impacciati tentativi di fondazione fisico-geometrica della teoria musicale, e infine dimenticato dal grande pubblico post-rivoluzionario, salvo un recentissimo recupero filologico, soprattutto in Francia. Un musicista destinato a condurre una vita scomoda nel mondo intellettuale parigino.
Ancora oggi si ammira dello sfortunato compositore la sua articolata sistematizzazione del sistema armonico-tonale moderno, partita da un cartesiano Traité de l’harmonie (1722), radicalmente rivisto in termini empiristici nella Génération harmonique (1737) e poi geometrico-deduttivi nella Démonstration (1750), opera che gli costò le ire dell’ex-amico D’Alembert.
Più che la sua teoria, che godette di vasta fortuna, sarà la sua musica, additata, fin quasi alla fine dell’Ancien Régime, come modello nazionale, a scatenare nel mondo parigino alcune delle tanto amate querelle, tra cui specialmente quella detta dei Buffoni. Essa opponeva la cortigiana – per intima costituzione – musica nazionale a quella italiana, liberale, fresca e sanguigna, soprattutto per la penna di Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736). Di fatto, la querelle musicale altro non era che un mascheramento della polemica antimonarchica, rinfocolata da alcuni virulenti pamphlet pubblicati sotto bizzarri falsi nomi.
Per Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), l’Illuminista ribelle per eccellenza, la musica francese era predestinata al fallimento. A differenza della lingua italiana, di per sé musicale e scorrevole, quella francese non aveva infatti consentito, a suo dire, lo sviluppo della libera melodia, producendo non altro che un inutile chiasso.
La sua impietosa analisi del monologo di Armida, il capolavoro di Lully, spinse il povero Rameau, di per sé poco interessato a simili battibecchi retorici, ad inserirsi nella disputa, dopo un paio d’anni di rimuginare. Il risultato fu di rinfocolare contro di lui tutta la bile del filosofo, peraltro già in cattivi rapporti con il musicista dopo che questi, molti anni prima, ne aveva stroncato un giovanile anelito alla composizione. Rousseau aveva peraltro proposto una sua alternativa all’opera nazionale, scrivendo e facendo eseguire un arcadico devin du village (1753), tanto insipido da dar ragione forse al vecchio musicista sul suo talento di compositore!
La fervida mano di Rameau ci ha donato pregiata musica da camera e da teatro, estremamente elucubrata, dalle Suite strumentali (qui un assaggio) alle tragédie lyrique e agli opéra-ballet, su tutti Les Indes galantes (1735: ascolta qui una Suite dall’opera, genere di cui Rameau è considerato inventore, o il famoso Rondeau). Sempre accompagnata da giustificazioni teoriche, donate in buona fede ad ingrati detrattori, la sua opera ne fa un avanguardista ante litteram, che ha tracciato con ciò un indiretto ritratto del mondo intellettuale francese alle porte della Rivoluzione. Il suo nome ha ispirato pure l’avventuroso capolavoro di Diderot, il nipote di Rameau, con un cui gustoso stralcio è forse bene ricordare la figura di quest’intellettuale misconosciuto alle soglie della contemporaneità – e non se ne abbia a male!
[…] Quel celebre musicista che ci ha liberati dal canto di chiesa del Lully che noi salmodiavamo da più di cento anni, che nei suoi scritti ha esposto tante visioni inintelligibili e verità apocalittiche sulla teoria della musica, di cui né lui né nessuno ha mai capito nulla […]. Egli ha sepolto il maestro fiorentino ma poi a sua volta sarà sepolto dai virtuosi italiani, cosa che presagiva e che lo rendeva malinconico, nervoso, triste, insocievole; perché nessuno ha tanto cattivo umore, neppure una bella donna che si sveglia con un foruncolo sul naso, quanto un autore che minaccia di sopravvivere alla sua fama […].
Antonio Somma