A tavola nun è tradizione
si nun faccio ‘a benedizione…
e doppo fatto ‘o segno d’ ‘a Croce
tutte quante ‘nzieme a una voce
a nostro Signore ringraziammo
po’ ognuno ‘o posto sujo e zitto
s’accummencia ca fellata d’ ‘o sottoscritto,
e tutte quanto nuje brindammo….
ll’ove sode, ‘o capucuollo ..j’ che festa
c’ ‘a ricotta salata.. tutta appriparata
dint’a na guantiera tutta argentata…
e po la mia mogliera porta ’ a menesta,..
fatta c’ ‘a carne ‘o ‘a gallina paesana…
po’ e ccarcioffole, po’ doppo arrepusate
ncopp’a tavola è pronto ‘o tortano e ‘o vino
ll’acqua minerale, ‘a coca cola, ‘o chinotto,
‘a cassosa, e tutto a soddisfazione,
po se metteno ‘e paste dint’a guantiera,
po’ ce stà ‘a colomba pasquale, ‘a pastiera…
e po’ l’amaro do’ cumpagno mio Pachialone
‘o stock 84, ‘o limoncello, tanti liquore
e all’urdemo ‘o cafè…ah, m’ero scurdato
‘a cosa cchiu’ bella ll’uovo ‘e ciucculata,,
ca surpresa ‘e diciotto karati tutta d’oro…
ma quanto m’hè custata sta magnata…
mannaggia ‘a mesata mia se n’è vulata!!
Ah, ‘a supresa pesa 50 grammi e tutta d’oro?
Va be’ dimane gia’ stà addo ‘mpignatore!!
I versi del poeta napoletano Ciro Borrelli, in arte Massenzio Caravita, proiettano il lettore in un’atmosfera di festa, tipica del periodo pasquale: ‘o pranzo ‘e Pasqua per i napoletani è quasi un rito da organizzare nei minimi dettagli. D’altronde, si sa che a Napoli vige la logica “a ogni ricorrenza il suo piatto tipico”: ogni festività che si rispetti è caratterizzata da antiche tradizioni gastronomiche tramandate di generazione in generazione. Tutte le pietanze che gustiamo sono frutto dell’esperienza e della passione culinaria delle anziane massaie napoletane, le quali durante la Settimana Santa, oltre a osservare con devozione i riti religiosi, si dedicavano alla preparazione dell’impasto e della pettola (sfoglia) per il casatiello e la pastiera, con le mani sporche di sugna e farina, i capelli raccolti e il grembiule stretto in vita. La riscoperta delle antiche consuetudini culinarie e religiose rende ancor più suggestivo questo periodo.
Il Giovedì Santo si prepara la zuppa di cozze, accompagnata dai tuzzulilli (crostini) di pane e ‘o russ (particolare tipo di olio che si ottiene cuocendo e filtrando olio di oliva, concentrato di pomodoro e un po’ d’aglio) e da un buon bicchiere di vino. Il Venerdì Santo invece, come da tradizione religiosa, bisognerebbe digiunare o mantenersi molto leggeri, mangiando magari una fetta di pane. Sicuramente gli inguaribili golosoni, con una certa abilità acquisita negli anni (la regola vuole che non bisogna farsi scoprire dalla cuoca!) spizzicano qualche pezzettino di robba mista (salumi) che si utilizzano per farcire il famoso casatiello, rustico dorato ripieno di salumi, formaggio, sugna, uova sode e un pizzico di sale. Una fetta tira l’altra! Senza casatiello, non è Pasqua.
Immancabile sulla tavola imbandita per il pranzo domenicale la cosiddetta fellata, antipasto di affettati, composto da fette di salame e capocollo tagliate a regola d’arte – tutte dello stesso spessore – e da pezzi di formaggio e ricotta. S’adda spizzicà coccos (è doveroso assaggiare qualcosina) prima di iniziare il sostanzioso pranzo, che si sa quando inizia ma non quando finisce! Svariate pietanze, sia dolci che salate, deliziano il palato di tutta la famiglia, degli ospiti – vale il detto “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi” – e del capofamiglia, al quale è affidato il compito di benedire la casa e il capo di tutti i commensali con il ramoscello d’ulivo immerso nell’acqua santa.
Dopo la consueta benedizione, si aprono le danze: minestra maritata, agnello alla pasqualina, fave, cigole (ciccioli) e ventresca di maiale, vino bianco e rosso, acqua e bibite. È ora di rilassarsi e… mangiare tutto!
Dopo aver gustato le specialità salate, arrivano i dolci, tra cui la classica pastiera di grano, ripiena di ricotta, cedro, acqua mille fiori, cannella su cui vengono adagiate, ad incrocio, le pettole di pasta frolla. L’irresistibile e inebriante profumo di cannella che si spriogiona in cucina permane in ogni angolo della casa. L’origine di questo dolce è avvolto nella leggenda: si narra che la fondatrice di Napoli, la sirena Partenope, donò agli dèi una serie di ingredienti – tra cui zucchero, ricotta, grano – ricevuti dai passanti incantati dalla sua magnifica voce. Mixando gli ingredienti, prepararono un dolce delizioso, a cui diedero il nome di pastiera. La ricetta fu perfezionata dalle suore del convento di San Gregorio Armeno.
Nella città di Torre del Greco, si prepara un dolce molto particolare, la pastiera di pasta dolce, preparata con capellini, zucchero, uova e aromi. Dulcis in fundo ma non da meno, il castiello dolce che somiglia a un piccolo panettone ricoperto da neve (glassa bianca) e da una miriade di confettini colorati.
Da non dimenticare la frittata di pasta napoletana (‘a frittata e maccarune) per il pranzo a sacco e all’aria aperta del Lunedì in Albis. A Pasquetta, ci si rilassa, godendosi la bellezza della natura e la buona compagnia, mangiando nu pezzettin e tutt cos (i residui dei giorni precedenti).
A Pasqua, i napoletani mangiano accussì (così). Un caffè o un amaro, a fine pranzo, non guasta mai, così come una bella pennichella. Dopodiché si dà il via all’apertua delle uova pasquali, che coinvolge sempre tutti, grandi e piccini. La sorpresa, anche se è deludente, è pur sempre una sorpresa!
Buona Pasqua a tutti i lettori!
Valentina Coppola