Ormai ci siamo: il 14 dicembre il Senato voterà il testo della nuova legge sul biotestamento, una delle “leggi da non tradire” (parafrasando il felice titolo della campagna di Repubblica) che il Governo Gentiloni dovrebbe, ma il condizionale è d’obbligo, sbloccare dall’impasse dei continui dibattiti, polemiche e ripensamenti in cui il tema del “fine vita” è rimasto confinato negli ultimi anni.

Alla vigilia del voto, che ci si augura senza ulteriori emendamenti per non perdere ancora tempo in ulteriori “navette” con la Camera, vale la pena però di far presente ancora una volta la finalità e gli obiettivi concreti della nuova legge sul biotestamento, specialmente in considerazione del fatto che molti enti locali, specialmente Comuni ma anche una Provincia (di Cagliari) ed un’intera Regione (il Friuli Venezia Giulia), hanno da tempo approntato proprie discipline sulla materia, anticipando anche di un lustro o più la sempre, immancabilmente tardiva attività parlamentare.

L’iniziativa normativa sul biotestamento parte da un presupposto lapalissiano: la legge è uguale per tutti. Dunque, nessun confine comunale, provinciale o regionale limiterà più, a partire dalla sospirata approvazione della disciplina nazionale, la fruibilità di uno strumento, il testamento biologico, che per ora ancora si identifica come DAT (Dichiarazione Anticipata di Trattamento): per la sottoscrizione della Dichiarazione, insomma, finora bisognava rivolgersi alla lungimiranza politica di un sindaco, di un Presidente di Provincia o di Regione. Nel peggiore dei casi, quando nemmeno l’ente locale offriva una propria risoluzione in materia, l’unica soluzione rimaneva appellarsi alla profondità delle proprie tasche.

Sì, perché l’assenza di una disciplina a livello nazionale ha da sempre confinato la possibilità di redigere una dichiarazione sui trattamenti sanitari da applicarsi nei propri confronti in situazioni di estrema infermità, che fosse giuridicamente valida (in grado cioè di produrre pienamente effetti giuridici), a due ipotesi sostanziali: o la resa di tale dichiarazione in un documento personalmente redatto, da far autenticare a cura di un notaio (con costi certo non alla portata di tutti); o la stessa resa negli uffici di quegli enti che, lo si ripete, autonomamente, nel rispetto delle proprie potestà legislative e regolamentari, avevano deciso di stabilire un registro apposito per la ricezione (a costo zero) del biotestamento.

Evidentemente, questo status quo è ampiamente insoddisfacente. Rimette all’iniziativa del privato o di potenzialmente pochi rappresentanti istituzionali la possibilità di intraprendere un percorso che la stessa magistratura, con riferimento specialmente al caso Englaro, e una parte consistente dell’opinione pubblica hanno largamente ritenuto non solo legittimo, ma persino eticamente, umanamente necessario. Il biotestamento, dunque, è da considerarsi un’esigenza normativa nazionale: da qui, l’iter legislativo che, si spera, si concluderà il 14 dicembre.

Tuttavia, anche se la legge dovesse passare al Senato, non andrà dimenticato il ruolo fondamentale delle amministrazioni locali nel porsi all’avanguardia della lotta politica per il biotestamento. Anche il Comune di Napoli è da sempre stato in prima linea su questi temi. La sintesi operata dal portale www.associazionelucacoscioni.it, dipendente dall’organismo di riferimento nel campo della promozione delle politiche del “fine vita”, riporta che sin dal 2010, con la Giunta Iervolino in carica, una sinergia tra enti religiosi e di ricerca medica portò alla creazione di un primo «sportello per la raccolta delle disposizioni di fine vita»: si trattava di una soluzione magari meno sbilanciata di quelle contemporaneamente adottate da altri comuni italiani, dotatisi di un “Registro comunale dei biotestamenti”, ma indubbiamente fu un inizio.

Da quel punto di partenza, poi, la prima Giunta De Magistris finalizzò nel 2013 l’inaugurazione del vero e proprio Registro, di cui andarono fieri l’allora assessore Tommaselli e lo stesso Primo Cittadino, rivendicando l’«avanguardia dell’amministrazione per quanto riguarda i diritti civili e costituzionali dei cittadini». «Un passo in direzione del rispetto della volontà dei malati», come recita il sito web istituzionale del Comune, caratterizzato con la migliore certezza possibile su situazioni e casi di applicazione: «i cittadini potranno annotare liberamente le proprie volontà riguardo ai trattamenti sanitari ai quali saranno disponibili in caso di malattie o traumi celebrali che determinino una perdita di coscienza permanente».

Ancora oggi il portale comunale chiarisce che la gestione del Registro dei biotestamenti è affidato al Servizio Anagrafe e consente di scaricare la modulistica da depositare negli appositi uffici. L’unica controindicazione essenziale di questo sistema è sempre stata, però, quella di valere esclusivamente per i cittadini napoletani. In sostanza, se per un abitante di Bagnoli, quartiere occidentale di Napoli, è possibile dal 2013 depositare una Dichiarazione, nella limitrofa città di Pozzuoli, invece, a soli pochi passi, non lo è.

Da qui è proseguito l’indispensabile impegno delle Amministrazioni locali per il biotestamento “nazionale”. Ad ottobre ben 86 sindaci (evidentemente quelli già impegnati sul tema, tra cui De Magistris) hanno firmato l’appello che riecheggiava quello appena sottoscritto dai senatori a vita: «per scongiurare un nuovo passaggio alla Camera che ne impedirebbe nei fatti l’approvazione definitiva, chiediamo che il Disegno di Legge sul “consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento” sia trasmesso in Aula [il Senato, ndr] per il voto senza ulteriori modificazioni, al fine di non lasciare senza risposta le attese e le speranze di tanti cittadini».

Che l’impegno della Giunta De Magistris a favore del biotestamento sia stato sempre concreto è indiscutibile: del resto, la sensibilità dell’elettorato che sostiene il sindaco di Napoli è univoca e inequivocabile in questo senso e l’ospitalità concessa ad alcune iniziative sul tema, come quella cui prese parte a marzo il padre di Luana Englaro, Giuseppe, lo ha testimoniato. La sfida ora consiste nel non consentire più che in Italia ci siano solo semplici “oasi” comunali, provinciali e regionali del biotestamento. Per l’ora della verità, appuntamento al 14 dicembre.

Ludovico Maremonti

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