L’Italia straccia tutti gli altri Paesi dell’Unione Europea e si “guadagna” il primo posto nella classifica dei NEET. Questo termine è l’acronimo inglese di Not (engaged) in Education, Employment or Training ed indica quei ragazzi che non studiano, non lavorano e non cercano lavoro. I ragazzi italiani, secondo i dati Eurostat, sono gli scansafatiche per eccellenza.
I dati parlano chiaro: i giovani italiani che rientrano nella categoria dei NEET sono tantissimi, circa il 22% degli italiani con età compresa tra i 15 e i 24 anni. La medaglia d’argento è bulgara, mentre al terzo posto vi è la Grecia. Ben distanti sono le grandi d’Europa: in Germania solo l’8% dei giovani fa parte dei NEET, mentre in Francia il 13,8%. Categoria a parte costituiscono gli Stati da sempre all’avanguardia sul sociale come la Danimarca (7,3%) e la Svezia (7,9%).
Questi giovani sono stati chiamati da tutti “fuori dal mondo”, persone che si allontanano dalla società per vivere un pieno stato d’abbandono, ma analizzando i dati che riguardano l’Italia vediamo che la situazione non è proprio questa.
L’identikit perfetto del tipico italiano NEET è il seguente: donna, giovane età, cittadinanza italiana e del Sud.
Di certo non è un caso che il NEET italiano rispecchia impeccabilmente quelli che sono i punti deboli del nostro Paese, come ad esempio la questione meridionale o la disoccupazione giovanile. L’italiano scansafatiche è vittima di un’abbandono scolastico in crescita e di poche iniziative che tendano a preparare al meglio i giovani per far conoscere il mondo del lavoro.
Ci tengo a precisare che “far conoscere” non significa sfruttarli a completo favore di un’azienda.
Molti sociologi attribuiscono alla categoria NEET l’aggettivo di disinteressato. Secondo alcuni, la maggior parte di questi giovani non si sente coinvolta nelle attività sociali e nutre un forte sentimento di sfiducia nei confronti della comunità.
Ma le loro caratteristiche non finiscono qui e ci spiega qualcosa Emmanuele Massagli, Presidente dell’ADAP, che si occupa di ricerche su relazioni aziendali e di lavoro, il quale afferma: «Se andiamo a vedere chi sono questi due milioni di ragazzi vediamo che sono un universo molto variegato: ci sono i giovanissimi che hanno terminato la scuola dell’obbligo e lavorano in nero, ed è un fenomeno particolarmente importante al Sud; ci sono i demotivati, coloro i quali cioè hanno smesso di cercare un impiego perché dopo il diploma non sono riusciti a entrare subito nel mercato; e infine ci sono i laureati che hanno acquisito competenze risultate subito obsolete per le richieste delle imprese».
Molti sui NEET ci ridono su, ma molti Stati si stanno già mettendo in moto anticipando i disagi che potrebbero esserci con un aumentare di questi giovani. Trai i Paesi dell’UE impegnati nell’alleviare il problema c’è l’Inghilterra. Infatti, il premier Cameron ha da poco svelato il suo “programma di lavoro comunitario”, dove questi NEET verranno impiegati per lavorare su progetti comunitari per 30 ore alla settimane; altre 10 ore saranno utilizzate per la ricerca di lavoro. Ad affiancare l’Inghilterra vi sono gli orientali con il Giappone, la Cina e la Corea del Sud.
Nel frattempo l’Italia del problema non se ne occupa, lascia a marcire dei dati molto importanti e assume il tipico atteggiamento dell’italiano medio di Maccio Capatonda, con un disinteresse che somiglia alla famosa frase «ma a me che ca**o me ne frega a me?»
Il rapporto Eurostat “Being young in Europe today”, completo ed in inglese, è reperibile a questo link.
Antonio Casaccio