Oggi parliamo di ius soli, con l’obiettivo di scoprire come funziona nel resto dell’Europa. Evitiamo, quindi, la polemica sull’opportunità (o meno) di introdurlo in modalità “temperata” anche nel nostro paese.
Non possiamo esimerci, tuttavia, da una sua breve descrizione: con la locuzione latina ius (diritto) e soli (del suolo, genitivo della seconda declinazione) s’intende il diritto di acquisire la cittadinanza di un determinato Paese per il solo fatto di essere nati sul suo territorio, a prescindere, dunque, dalla cittadinanza di genitori. L’opposto dello ius soli è lo ius sanguinis – principio sul quale si basa, sostanzialmente, l’attuale normativa italiana – che vige allorquando la nazionalità dei genitori si trasmette ai figli indipendentemente dal luogo di nascita.
In Italia, ormai, ben conosciamo la bagarre che si è sviluppata attorno all’argomento, ragion per cui potrebbe essere più utile, in questa sede, soffermarsi su come funziona nel resto del continente. Per farlo, in realtà, bisogna sconfinare per un attimo negli Stati Uniti d’America, dove si applica lo ius soli puro, dimodoché chi nasce sul territorio americano ne acquisisce in automatico la cittadinanza.
Il confronto con l’esperienza statunitense ci permette di costruire una pietra di paragone con la realtà europea, dove in nessun caso troviamo un’applicazione tout court dello ius soli.
In Germania, ad esempio, nazione che con il suo “Welcome Refugees” ha mostrato per primo un’apertura spontanea e popolare ai rifugiati, lo ius soli è legge dal 2000, ma subisce delle limitazioni: occorre, anzitutto, che uno dei genitori abbia un permesso di soggiorno permanente da almeno 3 anni e che da 8 anni sia residente nel paese. Dal compimento della maggiore età, i ragazzi avranno 5 anni di tempo per scegliere se acquisire la cittadinanza tedesca o conservare quella dei genitori.
In Francia è sufficiente che uno dei genitori sia nato in territorio francese per trasmettere ai figli la propria cittadinanza, nell’ambito di un regime giuridico definito di doppio ius soli. I bambini nati da genitori stranieri, al contrario, acquisiscono la cittadinanza al compimento del diciottesimo anno, se hanno risieduto in Francia per almeno 5 anni da quando ne avevano 11, ma possono acquisirla anche dai 16 anni se hanno risieduto nel paese con continuità sin da quando ne avevano 8.
Più essenziale, invece, la legge spagnola, che concede la cittadinanza ai bambini nati in Spagna dopo un solo anno di residenza nel paese, laddove per gli stranieri maggiorenni è necessario aver vissuto almeno 10 anni sul territorio nazionale. Come in Francia, è cittadino spagnolo chi nasce da madre o padre spagnolo.
Nell’area mediterranea la Grecia è lo Stato in cui viene dato più spazio allo ius soli, dal momento che, in base ad una legge del 2015, i bambini nati nel paese da genitori stranieri acquisiscono la cittadinanza se uno dei genitori ha vissuto in Grecia negli ultimi 5 anni. Se nati all’estero, i ragazzi ottengono la cittadinanza alla fine del primo ciclo di studi, e sempre a patto che i genitori abbiano vissuto nel paese per almeno 5 anni.
Vicini geograficamente, Belgio e Olanda si approcciano al tema dello ius soli in maniera radicalmente differente: più inclusivi a Bruxelles, meno favorevoli nei Paesi Bassi.
In Belgio, infatti, i figli degli immigrati possono acquisire la cittadinanza se uno dei genitori è nato in territorio nazionale e vissuto nel paese per almeno 5 degli ultimi 10 anni. Qualora entrambi i genitori siano nati all’estero, devono aver vissuto almeno 10 anni in Belgio prima di presentare richiesta di cittadinanza per il proprio figlio, e hanno tempo di farlo entro il dodicesimo anno di età del ragazzo.
In Olanda, invece, non esiste una versione dello ius soli paragonabile a quella degli altri Paesi europei, perché si può ottenere la cittadinanza soltanto dopo il compimento della maggiore età, si è in possesso di un regolare permesso di soggiorno e si è vissuto nel paese per 5 anni senza interruzione.
Concludiamo la nostra rassegna spostandoci dall’Europa unita e approdando in Gran Bretagna, dove il fatto di essere nati in territorio britannico ma da genitori stranieri non offre nessuna garanzia, se non quella di avere percorsi facilitati per l’ottenimento della cittadinanza una volta raggiunta la maggiore età. Discorso diverso, naturalmente, per chi nasce da almeno uno dei genitori già in possesso della cittadinanza, o che risiede nel paese da 3 anni: in questi casi l’acquisizione della cittadinanza è automatica.
Come funziona qui da noi? In Italia, come accennato sopra, si predilige lo ius sanguinis, poiché, ex legge 91/1992, può considerarsi cittadino italiano, per nascita, soltanto chi è figlio di madre o padre cittadini, o chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori ignoti o apolidi (o se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori, secondo la legge dello Stato di questi).
Fra un po’ le cose potrebbero cambiare, dal momento che una proposta di legge introduttiva dello ius soli cosiddetto temperato è arrivata a inizio estate sugli scranni dei senatori. Ma questa è un’altra storia.
Carlo Rombolà
In Italia, come in Germania – scopro da voi – un ragazzo nato in Italia, anche da genitori non italiani, può chiedere la cittadinanza, e allora dove sta questa differenza? Dove sta tutto questo impedimento per gli stranieri nell’ottenere la non poi tanto agognata cittadinanza italiano, se né ai loro genitori, passati i 10 anni, gli è impippato di prenderla, né agli stessi figli una volta raggiunto il 18esito anno d’età?
La verità è che non c’è alcun motivo di cambiare l’attuale leggere per motivi di necessità, ma solo di ideologia: semplicemente perché voi della sinistra ad altro grado di demenzialità trovate che sia troppo umiliante per il migrante “chiedere” la nazionalità, anzi gli deve essere regalate, no, di più, offerta: deve andare la stessa istituzione pagarlo di farci l’onore di voler diventare cittadino italiano.