“Evan viveva come un uomo che camminava su una frontiera, la frontiera tra due mondi, e come molti uomini e nazioni che crescono in mezzo alla natura e alle cose semplici, lui capì il soprannaturale prima di capire il naturale. Aveva visto gli angeli inginocchiarsi sull’erba prima ancora di vedere l’erba crescere, e sapeva che le lunghe e ampie vesti della Madonna erano blu prima di sapere che le rose selvatiche che crescevano ai suoi piedi erano rosse.”
(«La Sfera e la Croce»)
La prosa ricca, copiosa, scorrevole, spesso pungente ed ironica in un procedere deciso e lineare, adatta alla narrazione quanto al dibattito, di Gilbert Keith Chesterton (Londra, 1874 – Beaconsfield, 1936), romanziere, giornalista e polemista inglese, incide profondamente la ragione sino a far sgorgare dal mondo quotidiano la linfa più profonda che lo anima, il soffio dell’eterno, il riso del divino.
Nato in una famiglia della media borghesia, dopo un’infanzia felice, cade in una cupa disperazione negli anni della giovinezza, quando studia pittura presso la Slade School of Art e, in seguito, letteratura, sempre all’University College di Londra, senza però laurearsi. Il contesto, così diverso da quello familiare, si rivela cristallizzato non in “mero ateismo, ma ortodossia atea, e persino rispettabilità atea”: un mondo che nega l’essenza non solo di Dio ma della vita stessa. Per un’intelligenza viva il fardello dell’inconsistenza e della nullità del mondo è intollerabile e, soprattutto, autocontraddittorio: “l’ateo mi diceva, pomposamente, che non credeva nell’esistenza di Dio, e v’erano momenti nei quali io non credevo neppure nell’esistenza dell’ateo”. La risposta di Chesterton è indagare ancora più a fondo, anche a costo di perdere quell’aura di “rispettabilità” imposta dalla società sino a professare dapprima la religione anglicana e, poi, nel 1922, a convertirsi al Cattolicesimo di cui sarà uno strenuo, appassionato, intelligente difensore sino alla morte, insieme all’amico di sempre Hilaire Belloc. Il sodalizio tra i due, in perenne polemica con George Bernard Shaw, sarà ricordato da quest’ultimo con il termine chesterbelloc.
Chesterton, sposatosi nel 1901 con Frances Blogg, lavora come giornalista e critico letterario dapprima come freelance e sulle pagine del giornale fondato dal fratello Cecil (che morirà durante la Prima Guerra Mondiale, lasciandogli l’onere di portare avanti il foglio “The eye – Witness”), approdando infine al “Daily News”; inizia quindi la sua vasta ed enorme produzione di scrittore, con centinaia di romanzi, saggi e biografie, tra cui spiccano in particolare l’analisi critica di Charles Dickens ed il profilo di San Francesco d’Assisi.
La poetica di Chesterton è innanzitutto commistione di generi: lirico, tragico, comico, farsesco, grottesco, drammatico e umoristico si alternano continuamente poiché riflettono le diverse sfaccettature dell’animo così come, parallelamente, il razionale e l’onirico confluiscono per tracciare compiutamente una storia: ciò accade segnatamente ne «L’uomo che fu giovedì», poiché l’essere umano non è lineare e monolitico ma infinitamente sfaccettato, complesso, irripetibile, ed al fondo della sua esistenza, nelle profondità dell’animo, negli abissi del dubbio e nel dolore si evidenzia il miracolo della comprensione ultima, della gioia e della consapevolezza dell’amore di Dio.
Ne «La Sfera e la Croce», similmente, il dialogo tra Lucifero e l’asceta Michele (trasposizione umana dell’arcangelo), si sovrappone all’avventura di Mac Jan, giovane e romantico, che sfida a duello Turnbull, editore della minuscola e fino a quel momento pressoché inosservata rivista “L’Ateo” per un articolo ingiurioso sulla Vergine Maria. I due saranno continuamente interrotti dalla società, spettro senza volto che non può ammettere neppure l’esistenza di un dibattito in materia di fede e, quindi, meno che mai, di una sfida. Inizieranno però a conoscersi, a rispettarsi, a dialogare, sulla punta delle spade sempre più spuntate dagli eventi, sino ad essere rinchiusi in un manicomio (che ricorda molto l’alienazione di un campo di prigionia) mentre l’intera Inghilterra è trasformata. Un nuovo ordine è stato istituito, e la polizia medica provvede a internare tutti coloro che non sono stati riconosciuti sani di mente. Colossali istituti di igiene mentale accolgono coloro che non recano il simbolo di sanità mentale sul bavero dei vestiti. È l’irrompere dell’incubo nel racconto, del nichilismo e dell’odio per il genere umano (e, in ultimo, per la vita stessa) in una narrazione che impercettibilmente assume i sentieri del surrealismo e della profezia.
Il credente e l’ateo, tuttavia, interrogati in sogno, rifiuteranno la mostruosa alleanza loro proposta da Lucifero; il manicomio sarà incendiato in un’improvvisa rivolta e Michele, dalla stanza più profonda, ne sarà liberato, ritornando al mondo attraverso un muro di fiamme: “la volta infuocata sopra le loro teste si aprì nel mezzo e crollò in due grandi ondate d’oro che restarono appese su ogni lato, enormi ed inoffensive come due false colline in pendenza sui due lati di una valle. Al centro di questa breccia correva un piccolo sentiero, completamente ricoperto di cenere, e lungo questo stretto sentiero stava camminando un piccolo vecchio uomo, che cantava come se fosse stato da solo in un bosco, in un tranquillo e festoso giorno di primavera.”
Attraverso il filtro della trama, Chesterton riesce a disegnare in luce nuova alcuni aspetti della società cui ormai si è assuefatti. La “fantasia chestertoniana”, scrive J.R.R. Tolkien, consiste nella “bizzarria delle cose divenute ovvie, quando sono osservate improvvisamente da una nuova prospettiva”; un tipico esempio è il termine Mooreeffoc, ossia “l’insegna di un Coffee–room, un caffé, vista dall’interno attraverso una porta a vetri.”
Impegnato in politica e nei principali temi d’attualità insieme a Belloc, Chesterton si batte a fondo a favore del distributismo – considerato una via alternativa al socialismo ed al capitalismo di cui denuncia limiti e mancanze – contro la guerra anglo–boera, e, infine, contro le leggi razziali emanate in Germania:
“Si tratta, con tutta evidenza, dell’espediente di un uomo che dovendo cercare un capro espiatorio, ha trovato con sollievo il più famoso capro espiatorio della storia europea: il popolo ebraico. Sono più che convinto che, adesso, Belloc e io moriremo difendendo l’ultimo ebreo d’Europa.”
La sua polemica al vetriolo non risparmia il freddo razionalismo di Arthur Conan Doyle, esasperato nel ciclo di Sherlock Homes, cui contrappone la figura di Padre Brown, sacerdote cattolico e formidabile solutore dei più intricati casi polizieschi, protagonista di diversi romanzi che sancisce la preminenza dell’indagine psicologica sulla mera rappresentazione fattuale di un evento; della conoscenza dell’animo umano sull’aridità intellettualistica e superficiale del freddo e inerte razionalismo.
Col suo stile pungente, preciso, ironico, che preferisce l’iterazione, il paradosso, l’antitesi a sottolineare la continua battaglia tra la disperazione della morte e la gioia della vita e della fede, Chesterton pubblica, tra gli altri, «Il club dei mestieri stravaganti», «Uomovivo», «I paradossi di Mister Pond», «Le terre colorate», «L’osteria volante», «Ortodossia», «La Chiesa cattolica. Dove tutte le verità si danno appuntamento», «Il pozzo e le pozzanghere», «Impressioni irlandesi», «Gli alberi dell’orgoglio» ed una «Autobiografia».
G.K. Chesterton muore nel 1936, tra l’amore della moglie e la stima tanto degli amici quanto degli avversari di sempre.
Apprezzato da C.S. Lewis, da Tolkien e dai maggiori autori del Novecento, lascia un’eredità letteraria ed intellettuale paragonabile alla vastità della sua opera.
Davide Gorga