Che fine ha fatto la guerra in Siria? Dopo le ultime, terribili immagini provenienti da Aleppo, qualcosa sembra essere cambiato. Dal 30 dicembre è in vigore in quasi tutto il territorio siriano un cessate il fuoco che ancora dura e sembra promettere bene.

Ricapitolando: la guerra in Siria sembra dirigersi sempre più verso la strada della risoluzione diplomatica del conflitto, soprattutto grazie all’alleanza di Russia, Turchia e Iran. Gli avvenimenti di Aleppo, nella loro tragicità, sono stati l’elemento propulsore che ha dato il via ai negoziati.
La Russia, in particolar modo, si è fatta la principale garante di questa strada e subito dopo il cessate il fuoco ha iniziato il ritiro di parte delle forze armate presenti sul territorio. Se da una parte, però, vi sono le truppe di Assad (che hanno il sostegno della Russia e di Turchia e Iran), dall’altra è necessario trovare un accordo con i ribelli, in modo che la guerra in Siria rimanga sempre più uno ricordo lontano e che la ancora fragile pace in corso possa durare.

Ed è proprio questo ciò che si sta tentando di fare in questi giorni.

Nelle giornate del 23 e 24 gennaio, infatti, si sono tenuti dei colloqui fra le parti coinvolte nella guerra in Siria ad Astana, capitale del Kazakhstan. Da una parte la delegazione del governo di Assad, guidata da Bashar Jaafari, ambasciatore all’ONU, dall’altra l’ala dei ribelli rappresentato da Mohammed Alloush, leader, dopo la morte del cugino, del gruppo islamista Jaysh al-Islam. I colloqui, patrocinati dall’ONU e avviati con la presenza anche di alcuni delegati dell’Unione Europea e dei principali paesi promotori dell’iniziativa, si sono conclusi positivamente. Primo obiettivo, infatti, è stato il mantenimento del cessate il fuoco, riconfermato a seguito dei colloqui.

Tuttavia, su questo fronte, le notizie giungono discordanti: da una parte alcuni ribelli accusano il governo di Assad di aver violato il cessate il fuoco con alcuni bombardamenti, dall’altra lo stesso governo dichiara che le zone colpite sono quelle che non hanno siglato il cessate il fuoco (quelle del Fronte Fateh al Sham, ex Fronte Al Nura).

Sul lungo raggio invece si pone l’idea di una soluzione diplomatica della guerra in Siria, che garantisca l’unità del paese ma che allo stesso tempo ne protegga la multiculturalità. È per questo che uno stato federale sembra essere la soluzione migliore. «Non esiste una soluzione militare al conflitto siriano», è stato, ancora una volta, ribadito nei colloqui.

«La via dello Stato federale in una situazione come quella siriana potrebbe apparire preferibile, semplicemente perché nel Paese sono presenti comunità diverse», ha dichiarato Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali all’università di Firenze, intervistato da Radio Vaticana. «Penso che un qualsiasi assetto minimamente stabile futuro della Siria non potrà prescindere dal riconoscimento delle autonomie e dei diritti di queste componenti etniche. Resta da vedere se un assetto di questo genere sia accettabile dai siriani e soprattutto dagli attori esterni coinvolti».

A tal proposito, pesa una grande assenza al tavolo di pace di Astana: i curdi.

I curdi, infatti, da anni in prima linea contro l’ISIS e fautori di un progetto di Stato completamente nuovo nel cantone del Rojava, non sono stati ammessi né tantomeno invitati ai colloqui di Astana e non per puro caso. La presenza curda, infatti, metterebbe in crisi il rapporto con la Turchia, il cui atteggiamento di collaborazione ha permesso una svolta nella guerra in Siria. Ma Erdoğan sta attuando una decisa politica di repressione nei loro confronti e ostacola anche solo l’idea che i curdi siriani possano avere una certa autonomia.

Eppure l’apporto dei curdi, unici esclusi accanto all’ISIS e ai gruppi islamisti estremisti, è di importanza capitale per concludere la guerra in Siria nella maniera più equa fra le parti e soprattutto fra i suoi abitanti. Non a caso, Mosca non ha completamente chiuso i canali di comunicazione con i curdi. Il 27 gennaio scorso Khaled Issa, rappresentante dei curdi siriani e membro del partito curdo Unione democratica, ha presentato una bozza per una possibile futura costituzione della Siria. Che, a detta dei curdi, dovrebbe essere federale, costituita di ampie autonomie ai popoli che la abitano, e soprattutto dovrebbe vedere cancellata dal proprio nome quel termine “arabo” che inevitabilmente la caratterizza etnicamente a senso unico. Nonostante la proposta non sia stata accettata, pare che l’esito dell’incontro non sia stato completamente negativo: vi sarebbero state, a detta dello stesso Khaled Issa, molti punti di incontro con la Russia.

Al momento, la prossima data sembra ancora da definire. I colloqui previsti per l’8 febbraio a Ginevra, questa volta targati ufficialmente ONU, sembrano essere stati rimandati, come ha affermato alla fine dei colloqui di Astana il ministro degli Esteri russo Lavrov.

Elisabetta Elia

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