Tra le principali manifestazioni culturali e strumento indispensabile per l’educazione e formazione dell’individuo, il Teatro affonda le sue radici in tempi ormai remoti.
In Occidente, nella sua forma matura la storia del teatro coincide e s’intreccia con le esperienze sorte nell’antica Grecia. Il teatro greco è il primo che si eleva a forma d’arte nel senso più pieno della sua essenza. Ancor oggi, gli stimoli e gli spunti contenuti nei lavori dei drammaturghi del V secolo a.C. non si sono ancora esauriti, grazie alla profonda verità e ai toccanti ritratti umani contenuti nelle opere rappresentate.
La storia del teatro greco è nient’altro che il racconto dell’ascesa, dello splendore e del declino di una cultura di forte ispirazione democratica; difficile capire a pieno il profondo coinvolgimento politico e religioso dell’intera comunità: la rappresentazione teatrale era fondamentalmente un momento che toccava le città-stato e tutti i cittadini liberi.
Un fenomeno, quello del teatro greco, complesso nella sua struttura e per il suo significato sociale. Ogni dramma era sintesi di poesia, canto, danza e musica; questo aspetto è percepibile anche solo dando uno sguardo alla struttura compositiva dell’edificio teatrale greco, di cui è possibile evidenziare tre elementi principali:
- L’Orchestra: termine etimologicamente connesso con il verbo ορχήομαι, danzare. Era la pista destinata al coro, che danzando e cantando, intervallava o accompagnava l’azione. In epoca classica aveva pianta circolare, in seguito è testimoniata per lo più a forma di semicerchio;
- La Scena: risale all’introduzione dell’attore come interlocutore del coro; il termine fa riferimento al “tendaggio” calato per schermare alla vista degli spettatori i locali di servizio. Da qui deriva l’attuale “scenografia”;
- La càvea: era l’emiciclo, normalmente costruito sfruttando una naturale pendenza collinare del terreno, destinato ad accogliere gli spettatori sui gradoni concentrici. La forma della cavea permetteva la piena visibilità a tutti i presenti, ma anche la visione reciproca degli spettatori, che potevano così oss
ervare gli atteggiamenti e le reazioni degli altri settori alle fasi dello spettacolo.
L’origine del teatro greco è strettamente legata al culto del Dio Dionisio: in particolare i concorsi teatrali iniziarono a tenersi in occasione delle feste primaverili, le Grandi Dionisie.
Con l’affermarsi della democrazia, la partecipazione dei cittadini alla vita politica era sempre più centrale: il teatro rappresentava, a questo punto, una possibilità di svago e allo stesso tempo di riflessione. La popolazione ateniese si radunava in massa sugli spalti e decretava l’esito degli agoni, in linea con l’identità democratica e l’ispirazione all’egualitarismo.
Per assistere alle rappresentazioni i cittadini ateniesi pagavano un biglietto, che aveva un prezzo popolare. Verso la metà del V secolo a.C., lo Stato destinò una parte dei tributi versati dalle poleis a sovvenzionare la partecipazione della cittadinanza agli spettacoli: il theorikòn era un fondo statale elargito ai cittadini per assistere a tali rappresentazioni.
Ruolo di primo piano nel Teatro Greco è occupato dalla tragedia, considerata la più grande manifestazione del gene creativo greco. La sua stagione più fiorente coincide con il V secolo a.C., nel periodo compreso tra le Guerre Persiane e la fine della Guerra del Peloponneso, ovvero l’epoca in cui operano i tre autori più importanti: Eschilo, Sofocle ed Euripide. Il primo grande autore di taglio greco fu Eschilo: a lui si deve l’introduzione del secondo attore. Sofocle portò a tre il numero dei personaggi, ma soprattutto sviluppò l’azione drammatica rendendo dinamica la rappresentazione dei caratteri che in Eschilo soffrivano ancora di una psicologia piuttosto rigida. Altro autore tragico è Euripide, di poco più giovane di Sofocle.
Va detto che la genesi della tragedia è strettamente collegata alla letteratura greca preesistente, con attenzione particolare all’etica e alla lirica: molti protagonisti dei drammi altro non sono che eroi mitici. Più di rado troviamo tragedie di argomento storico, tra le quali spiccano i “Persiani” di Eschilo.
Il dramma aveva la funzione di proporre al pubblico dei momenti di riflessione, fossero essi di natura sociale, politica, religioso o anche familiare: aveva un ruolo in qualche modo paideutico.
Si parte anzitutto dal concetto di “mimesi“: la tragedia è intesa come imitazione della realtà e attraverso la messa in scena delle passioni quotidiane, quali pietà e terrore, si attua la purificazione di tali. Nel senso più comune, infatti, con catarsi si intende la purificazione dalle passioni umane.
L’arte drammatica fa in modo che lo spettatore, rassicurato dal fatto di non essere direttamente protagonista dei fatti raccontati e percependo come “finto” ciò che sta guardando, si sente allo stesso tempo coinvolto e distaccato. La catarsi assume dunque un connotato psicologico: le passioni umane possono essere regolarizzate e tenute a bada per mezzo dell’arte. La rappresentazione artistica è una zona di “sfogo” di tali passioni.
Il teatro Romano nasce in primo luogo su imitazione di quello greco; tuttavia a Roma manca la concezione del teatro come “luogo di incontro” della società civile e politica. Quello romano era un tipo di teatro più concentrato sulla dimensione spettacolare e, in particolare, sull’accezione “mondana”.
Atellana e Mimo erano due modi di fare teatro, di cui purtroppo conserviamo scarse testimonianze. Va altresì specificato che tali forme teatrali, proprio per la loro essenza, poco si prestavano alla conservazione. Abbiamo dei frammenti che testimoniano la presenza di testi scritti, ma in realtà l’esito finale dello spettacolo era dato da un rapporto particolare tra testo e attore. L’attore, infatti, non era un semplice intermediario, ma aveva un ruolo attivo nella costruzione reale dello spettacolo.
Il “Mimo” prendeva spunto da scene di vita quotidiane, con un tono ironico; non molto apprezzato dai cristiani, a causa del suo carattere licenzioso e sregolato.
Le “Atellane” erano un altro tipo primitivo di spettacolo teatrale, caratterizzato da un aspetto burlesco e audace; equiparabili alla “commedia dell’arte” italiana, erano caratterizzate da brevi improvvisazioni e schemi determinati e costanti. Anche queste rappresentazioni erano finalizzate alla “catarsi”: collocate verso la fine degli spettacoli, tendevano a ridistendere gli animi degli spettatori.
Nel IV secolo d.C. il teatro Romano raggiunse il culmine del suo successo; ma con l’opposizione della chiesa cristiana, sarà man mano messo da parte. Eliminato dopo che Teodosio fece diventare quella cristiana la religione di Stato. La cultura cristiana e la chiesa misero in atto una campagna di “demonizzazione” dello spettacolo: chiunque fosse andato a teatro nei giorni festivi sarebbe stato scomunicato e sarebbero stati impediti i sacramenti agli attori se non avessero rinunciato alla professione. Il crollo definitivo del teatro romano non fu solo a causa della chiesa, ma contribuirono anche le invasioni barbariche e il definitivo crollo dell’Impero Romano.
«Quasi in tutte le città cadono i teatri […] cadono i luoghi o le sedi nei quali si veneravano i demoni.»
È Sant’Agostino ad affermarlo sul finire del IV secolo. L’elemento che rendeva lo spettacolo perturbante altro non era che la passione, in contrasto con le idee di moderazione e dominio delle stesse.
Il teatro Romano è precursore della Commedia Dell’Arte. È possibile, infatti, trovare dei veri e propri punti in comune: in particolare il gusto per la beffa estemporanea; la commedia dell’arte si basava su dei canovacci, che indicavano solo le linee generali. Gli attori, dunque, oltre alle doti recitative, dovevano essere in grado di “improvvisare”.
Sviluppatosi in Italia nel XVI Secolo, la Commedia dell’Arte è caratterizzata dalla totale assenza di copione. Spesso gli attori si rifacevano a delle “maschere”, ossia personaggi le cui caratteristiche erano già note. Ancora rivoluzionaria fu la presenza in scena delle donne.
La storia del Teatro è un viaggio lungo e appassionante, iter complesso che si sviscera in vicoli nascosti, quelli delle opere antiche di bellezza incommensurabile. Ripercorrerne le tappe, partendo da quello greco e romano, è un po’ far i conti con i corsi e ricorsi delle storie, che si rincorrono e si affacciano al nostro orizzonte, ancora attuali e capaci di stimolare riflessioni sempre nuove.
Vanessa Vaia