Nonostante la calura estiva, ‘Lettere in Soffitta’ non va in vacanza, bensì torna con il suo consueto appuntamento di approfondimento letterario, avventurandosi, questa volta, lungo i sinuosi sentieri dell’antichità, per condurci alla scoperta di uno dei volti poetici più noti che Roma abbia mai avuto: Gaio Valerio Catullo.
Sentimentale ed ironico, erotico e pungente, Catullo rivoluzionò magistralmente il modo romano di far poesia, conferendo una piega diversa alla storia della letteratura latina, fin ad allora intenta, anima e corpo, a celebrare le gesta di un popolo di abili conquistatori e di arguti politici: l’originalità fu dunque la chiave del suo successo, destinato a durare nei secoli, a varcare le soglie della civiltà a cui egli appartenne, per raggiungere e toccare emotivamente lettori di epoche e luoghi differenti, inclusi i meno esperti in materia.
Chi, infatti, non ha mai letto, seppur indirettamente, i versi dedicati a Lesbia? La donna dell’inconfondibile e celeberrimo distico odi et amo, capace di condannare il poeta ad una vita fatta di tormenti, trascorsa in balìa di una tempesta di sentimenti contrastanti, ma comunque belli perché profondi e sinceri. E quale lettore, appassionato o meno del genere, non si è mai imbattuto, lasciandosene travolgere, nella passionale rapidità del carme 5, divenuto famoso per i baci che Catullo chiese, incommensurabili, a quella stessa amante infedele per esorcizzare il malocchio, ingannare il tramonto dei giorni e il buio della notte che, d’un tratto, può divenir perpetua?
Da mi basia mille, deinde centum| dein mille altera, dein secunda centum| deinde usque altera mille, deinde centum.
Fu effettivamente un’esistenza breve quella di Catullo, vissuto soltanto trent’anni, eppure sufficienti a dettare quel cambiamento di ‘rotta poetica’ che lo ha reso indimenticabile. Nato a Verona nell’87 o forse nell’84 a.C., lasciò ben presto la realtà provinciale per approdare in quella sterminata della capitale dove, entrato in contatto con Licinio Calvo, Elvio Cinna e Asinio Pollione, divenne animatore vivace e componente di spicco di un circolo di letterati, conosciuti come − secondo la definizione ciceroniana, non proprio benevola — poetae novi. Nuovi per lo stile curato, mutuato dalla lirica callimachea, nuovi soprattutto per i contenuti, lontani dalla vita civile, vicini alla quotidianità delle emozioni, degli affetti del cuore. Domina allora l’amore, intenso per gli effetti incalzanti in grado di suscitare, protagonista indiscusso del liber catulliano il cui successo, insieme a quello dell’autore, si lega proprio ai componimenti scritti per la già citata Lesbia, pseudonimo di Clodia ed evidente rimando a Saffo, poetessa di Lesbo.
Il legame con la lirica ellenistica è difatti notevole anche nei piccoli dettagli; forte sono gli echi non solo della poesia elegante di Callimaco, ma pure dei versi di Meleagro, la cui passione per Eliodora si tramuta fin da subito in un motivo esistenziale di vera sofferenza. Pure Catullo si addolora, s’insospettisce, si esalta per le vicende di un amore realmente e pienamente vissuto, ma trasfigurato dall’arte, da una sana competizione con i modelli greci di riferimento, con i quali s’instaura un rapporto di aemulatio e non di semplice imitatio.
Nelle poesie di Catullo, vita e amore si intrecciano fino a specchiarsi l’una nell’altro; la passione, con la sua dinamicità, diviene l’unico mezzo col quale l’uomo possa scacciar via il pensiero inevitabile della morte: mai un romano si sarebbe sognato di far di una donna materia centrale di canto — Catullo lo fa invece con disinvoltura e riesce nell’intento brillantemente — relegando in un angolo ben nascosto la propria gravitas, per mostrar una leale ed incontrollabile vulnerabilità dinnanzi al tradimento che spegne l’affetto, senza smorzare però la fiamma del desiderio, così come recita il carme 72:
Nunc te cognovi: quare etsi impensius uror| multo mi tamen es vilior et levior.|«Qui potis est», inquis? Quod amantem iniuria talis| cogit amare magis, sed bene velle minus.
I toni sono impetuosi, caldi, eppure nessuno dei componimenti viene scritto di getto: anche lo sfogo cocente della delusione risulta essere curato nei minimi particolari. Tutto appare insolito, innovativo; e ancor più in netto contrasto con le consuetudini della romanità, si pone la tensione erotica mostrata nei confronti di un certo Giovenzio con il quale Catullo intrattiene una relazione intollerabile, non perché di natura omosessuale, ma perché fondata sulla passiva sottomissione di un uomo libero ai capricci di un altro, con conseguente perdita di virilità da parte del primo. Quando, però, gli amici Furio e Aurelio cominciano a far la corte allo stesso giovane, ecco che allora Catullo si prende da vero maschio la sua rivincita, minacciando di infligger loro delle infamanti pratiche sessuali . È quel che si legge nel carme 16, censurato per i suoi contenuti sconci: Vos, quei milia multa basiorum| Legitis, male me marem putatis?| Pedicabo ego vos et irrumabo. L’oscenità costituirà un’altra delle mille facce della poesia catulliana, estremamente varia nelle sue tematiche, sempre avulse dalle responsabilità politiche della vigente tradizione letteraria.
Insomma, una figura fuori dagli schemi quella di Catullo, per certi versi moderna nel suo deciso individualismo, attuale ed umana nel suo modo di percepire ed esprimere l’amore, cantato con l’impeto delle emozioni e la studiata ricerca di una forma che possa evocare la naturalezza, senza fare di essa la sua essenza.
Anna Gilda Scafaro