PD Zingaretti
Fonte: newsstandhub

All’indomani della batosta elettorale in Umbria, il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti ha scritto una lettera pubblicata sul sito del Corriere della Sera in cui ha spiegato che il rinnovamento del PD è possibile solo nel caso in cui venisse sostituito con un “nuovo soggetto plurale, ricco e partecipato per offrire ad una nuova generazione un’opportunità di partecipazione e battaglia collettiva.

Sul fatto che le parole scelte abbiano un certo fascino non vi è alcun dubbio, così come non vi è alcun dubbio nel sostenere che il Partito Democratico, e tutto ciò che ne possa derivare, è una mortificazione per le classi popolari, per la sinistra e per l’Italia intera: non ha bisogno di un nuovo nome o di un nuovo simbolo, ha bisogno di sparire per sempre dalla scena politica italiana, e vi spieghiamo il perché.

Dopo la seconda guerra mondiale, le sinistre europee – influenzate dalle teorie economiche keynesiane – si caratterizzavano per il loro modo di approcciare in maniera decisa ai problemi socio-economici dei Paesi, promuovendo un forte interventismo statale e un deciso sostegno al welfare state e alle classi subalterne. Senza fare troppa dietrologia, possiamo affermare con certezza che tali cardini della sinistra in Europa, e in Italia in particolare, siano venuti a mancare in seguito alla caduta del Muro di Berlino nel 1989.

Questa non vuole essere un presa di posizione in favore del blocco sovietico o del blocco occidentale, ma semplicemente un’analisi il più oggettiva possibile. L’URSS, nel bene o nel male, ha costituito sia un argine che un’alternativa al modello liberista: di fatto, la competizione tra quest’ultimo e il modello socialista ha prodotto, indirettamente, un consolidamento delle forze sindacali e del welfare state in praticamente tutti i Paesi europei del blocco occidentale. Mentre l’Occidente inseguiva l’Est sul piano dei diritti sociali, il blocco sovietico inseguiva quello occidentale all’insegna della libertà dell’individuo e del consumismo – che è un po’ la storia dell’Unione Sovietica post-Stalin e del conseguente periodo di Perestrojka.

La caduta del Muro di Berlino ha quindi sancito la vittoria del liberismo e della globalizzazione trascinando la sinistra italiana in una vera e propria crisi d’identità: il Partito Comunista più grande d’Europa si sarebbe sciolto di lì a due anni e avrebbe dato il via a una serie drammatica di scissioni interne che avrebbero portato, in ultima istanza, alla nascita dell’attuale PD.

Dalle scissioni al PD

Venti anni di scissioni non hanno solo originato una serie di nuovi partiti e di nuove coalizioni, ma hanno soprattutto prodotto una trasformazione radicale del paradigma politico di riferimento: mentre prima la sinistra rappresentava una forza antagonista e di rottura del sistema, oggi rappresenta appieno quei valori sociali, economici e politici che da sempre ha cercato di contrastare: la sinistra – o quel che ne è rimasto – è divenuta forza di sistema.

A nulla servono i tentativi per cercare di restituire una verginità a chi l’ha definitivamente persa ormai da tempo: proprio qualche giorno fa Romano Prodi cercava di giustificare le privatizzazioni attuate dal suo governo durante gli anni ’96-’98 dicendo che furono richieste dall’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel nome dell’Europa, per “rispondere alle regole generali di un mercato nel quale eravamo”.

Romano Prodi
Fonte: Panorama

Sono state proprio le “regole generali” di tale mercato a decretare la crisi d’identità della sinistra: adottando il libero mercato come modello economico di riferimento, si è tacitamente accettato di rifiutare tutti quei valori che la sinistra italiana aveva ereditato dagli insegnamenti di Marx e Gramsci, e questo Prodi lo sapeva e lo sa bene, al netto di tutte le lacrime di coccodrillo che possa adesso versare.

A dimostrazione di quanto detto, è emblematico il recente caso dell’Ilva di Taranto. Pochi giorni fa, infatti, ArcelorMittal ha dichiarato di voler recedere dal contratto che lo lega all’acquisizione dei servizi di Ilva SpA poiché è venuta a mancare la sciagurata clausola dello “scudo legale” che il governo, nella figura dell’ex ministro dello Sviluppo Economico Calenda (ex PD), aveva promesso. Se per la salute dei cittadini di Taranto questa è sicuramente un’ottima notizia, non lo è per i 10.700 operai – di cui 8.200 a Taranto – che l’ex Ilva occupa.

Senza entrare nei dettagli della questione, è utile soffermarsi sul ruolo passivo che oggi uno Stato ha nei confronti di un’azienda privata multinazionale e sulla mancanza di proposte alternative provenienti dalla sinistra istituzionale la quale, se un tempo avrebbe invocato l’esproprio, la nazionalizzazione e la riconversione dell’impianto in modo da garantire lavoro agli operai e diritto alla salute per i cittadini di Taranto così come sancito dagli art. 1, 32 e 42 della nostra Costituzione, oggi è intrappolata all’interno di quella gabbia che ha creato essa stessa con l’ausilio delle destre.

Calenda, Renzi
Fonte: Open

I valori dell’antifascismo, dell’antirazzismo e del femminismo sui quali si fonda, o doveva fondarsi, il PD si sono rivelati essere solamente una superficiale copertura per una non troppo celata rincorsa alle destre sui temi fondamentali della società odierna: la tanto decantata riforma del lavoro voluta da Matteo Renzi, più comunemente conosciuta come Jobs Act, altro non è che la naturale continuazione della meno recente Legge Biagi entrata in vigore nel 2003 durante il governo Berlusconi II; il Decreto Minniti in materia di immigrazione è quello che ha gettato le basi per i Decreti Salvini I e II; e ancora possiamo ricordare quando il PD votò in maniera compatta insieme alle destre per la Riforma Fornero e per l’introduzione in Costituzione del pareggio di bilancio.

Insomma, più che un qualsiasi cambio di segreteria, nome o simbolo, la sinistra ha bisogno di ritrovare i suoi ideali e di ritornare al fianco delle classi popolari, cosa che il PD ha già ampiamente dimostrato di non volere e non saper fare.

Elisabetta Canitano, presidentessa dell’associazione Vita di donne, un anno fa si domandava: «Come pensiamo di combattere il fascismo se non riusciamo a difendere i lavoratori? Come pensiamo di difendere i migranti se non parliamo di diritti di tutti i lavoratori? Come pensiamo di sostenere le donne se non parliamo di contratti di lavoro e non ci muoviamo contro il precariato?».

Ecco tutto: una sinistra, per definirsi tale, dovrebbe almeno iniziare a riflettere su queste tre domande, che dietro la loro semplicità mascherano tutti i problemi e le contraddizioni dell’attuale sinistra istituzionale italiana.

Nicolò Di Luccio

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