Una volta lo chiamavano culto della personalità, poi sono passati a chiamarlo leaderismo e, specie nei casi post mortem, assume i tratti del feticismo – facendo tuttavia a meno delle inquadrature di Quentin Tarantino.
Questa malattia è ben diffusa nell’intera società italiana, anche se dalle osservazioni che seguiranno apparirà una caratteristica peculiare della sinistra. Anzi, è un fattore endemico tale che rimarrà sempre vera la frase scritta da Brecht in Vita di Galileo: «Sventurata la terra che ha bisogno di eroi».
È facile, a ben vedere, compilare una lista dei novelli eroi di una sinistra che, abbandonati da decenni gli ideali, si è riscoperta in cerca di un’anima, di un’identità e di un leader da prendere a modello: Bernie Sanders, Pablo Iglesias, Yanis Varoufakis, Alexis Tsipras, Maurizio Landini, Matteo Renzi, Barack Obama sono le figure politiche degli ultimi anni, mentre la cosiddetta “società civile” ha espresso le figure di Erri De Luca, Fabio Fazio, Roberto Saviano, Roberto Benigni e, rispolverando la questione morale, Enrico Berlinguer. Nondimeno, è importante anche la figura del novello attivista, il rivoluzionario in cachemire e martello (pardon, iPhone: il martello è vecchio e da fabbri – che schifo i poveri che non sono lontani!) armato di tastiera, connessione internet e manto di superiorità morale, convinto di poter cambiare il mondo con l’attivismo a base di esternazioni di indignazione su Facebook e dichiarazioni di essere scandalizzati verso chi non è interessato all’ultima moda radical-chic importata dai ricchi salotti newyorkesi.
Qualunquismo? No, contestazione dell’ur-fascismo (come direbbe Umberto Eco) di tali soggetti: elitismo e populismo qualitativo, frustrazione e additamento del “diverso” in disaccordo sono caratteristiche lampanti dei novelli moschettieri del web.
Come accadeva ai tempi di Mussolini e Stalin, il leader viene elogiato al punto da diventare un nuovo idolo ed assumere un’aura di santità, e la rappresentazione agiografica si instilla, cementata dalla credulità, nella mente del seguace fanatico.
Possiamo provarlo senza problemi nel riportare le critiche “blasfeme” di Marco Rizzo a Enrico Berlinguer, definito «onesto ma non comunista» proprio quando frotte di persone e pagine come Qualcosa di Sinistra idolatrano acriticamente il Triste Enrico, addirittura trovando modo di ammassare una sommetta cercando la complicità della figlia Bianca nello scrivere l’ennesima agiografia: chiederne conto a Pierpaolo Farina.
Possiamo anche prendere l’esempio della freddezza nell’accogliere notizie non positive per il proprio idolo, anche se vengono da fonti considerate vicine a sé e tipicamente rassicuranti:
Un attimo di riflessione seria.Controllavo i dati dei sondaggi recenti, quelli degli ultimi giorni, per confrontarli…
Posted by Noi che NON voteremo il Movimento Cinque Stelle on Martedì 3 novembre 2015
Ecco, questo è un atteggiamento degno di una tifoseria, di un fan club, di un culto della persona: guai a toccare l’idolo, guai a metterlo in discussione. Va benissimo criticare idee, metodi ed azioni altrui, ma se gli stessi fossero ravvisati sul nostro beniamino bisogna minimizzare, smentire, contrattaccare, insultare, metterla sul personale. Ed ecco che ritorniamo, per l’appunto, all’ur-fascismo di cui sopra.
Che dire poi, per riallacciarci ad una polemica dei giorni scorsi, della strumentalizzazione e dell’appropriazione dei morti che in vita sono stati controversi? Faccio un nome non a caso: Pier Paolo Pasolini, del quale si è impossessato un’intellighenzia comunisteggiante, lui che era un “comunista eretico”, lui che criticò il sistema del consumo finendo col diventare egli stesso, dopo la morte, un bene di consumo. Un po’ come il Che Guevara commercializzato sulle magliette di mezzo mondo alla stregua di una Hello Kitty, per dire, o le ragazzine con le magliette dei Nirvana perché pensano di fare le alternative.
Ma allora, perché seguire il culto di quelle persone se non le si conosce minimamente? Probabilmente è più facile spiegare il terzo segreto di Fatima, anche se si può azzardare una risposta: per moda, per essere accettati in un gruppo.
Giovanni Falcone una volta disse «Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini». Non è sicuramente una citazione, per quanto nobile e profonda, a sottolineare una necessità impellente: bisogna allontanare l’uomo, la persona fisica idolatrata, il soggetto del culto e del feticismo, dal centro delle attenzioni e porvi invece le idee, gli ideali, financo l’ideologia se necessario.
Certo, per sostituire al culto della persona il culto delle idee ci vorrebbero interesse, cultura, un minimo di intelligenza e, soprattutto, la volontà: merce rara, di questi tempi.
Simone Moricca
@simonegenius
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