Comicità, triste realtà, riflessione: sono solo alcuni dei tratti salienti che hanno contraddistinto uno dei più grandi autori degli albori del ‘900 italiano: Luigi Pirandello.
Siciliano, classe 1867, Luigi Pirandello fu autore, scrittore, drammaturgo e Premio Nobel per la letteratura nel 1934. E sicuramente, uno dei suoi capolavori è il saggio “L’umorismo”, in cui emerge la sua poetica e il suo modo di concepire la realtà circostante: è un’opera in prosa saggistica, ricca di riferimenti filosofici e letterari, ampia e ricca di elementi. L’autore si sofferma all’inizio sul termine umorismo:
“La parola umore derivò a noi naturalmente dal latino e col senso materiale che essa aveva di corpo fluido, liquore, umidità o vapore, e col senso anche di fantasia capriccio o vigore.”
Luigi Pirandello, per la prima volta, parla di umorismo in senso esplicito, facendo una differenza con il comico. Il comico non è altro che l’avvertimento del contrario, che nasce dal contrasto tra l’apparenza e la realtà e che genera la risata, emblema di una situazione contraria a quella che dovrebbe essere normalmente. Si tratta, però, di una risata superficiale, che non porta subito alla riflessione: l’autore siciliano, con il famosissimo passo della “vecchia signora”, arriva poi a dare una definizione di umorismo:
“Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca; e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico.”
L’umorismo nasce, quindi, in un secondo momento: è il sentimento del contrario. È generato dalla riflessione, dall’accettazione di una triste realtà e dal contrasto tra apparenza e realtà, maschere e vera personalità. E se prima di fronte all’immagine della vecchia signora il genere umano sghignazza in una grossolana risata, adesso la riflessione genera un sentimento di compassione: colei che cerca di nascondere il peso dei suoi anni dietro abiti eleganti e fascino spietato, fa pena all’animo umano che, riflettendo, percepisce la sua debolezza, la paura di invecchiare, la fragilità umana.
Luigi Pirandello non lascia da parte la componente umoristica nei suoi celebri romanzi: la maggior parte dei suoi scritti, compresi quelli teatrali, ruotano tutti intorno al perno del sentimento del contrario e alla maschera che ogni soggetto umano decide di indossare nella società in cui opera quotidianamente.
Emblematica è la figura di Vitangelo Moscarda, protagonista del romanzo “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita“: “Uno, nessuno e centomila”. Il titolo è la chiave di lettura per comprendere l’intero romanzo: la storia di Vitangelo è la storia della consapevolezza che la realtà non è per nulla oggettiva. L’uomo passa dal considerarsi unico e uno, ma poi, attraverso una presa di coscienza, si rende conto di essere il nulla, poiché si trova a combattere con i suoi centomila modi di mostrarsi al mondo. Il protagonista è, quindi, un forestiero della vita, è l’apice dell’umorismo pirandelliano: si è reso conto di essere schiavo non soltanto della società e degli altri, ma prima di tutto di se stesso. Ed ecco che decide di indossare una maschera a seconda della situazione in cui si trova; un po’ come aveva fatto Mattia Pascal che, fingendosi morto, aveva cambiato la sua vita e la sua identità con quella fittizia di Adriano Meis.
Ma la vera identità non viene mai fuori: non esiste un’unica forma di verità, è impossibile riconoscere la verità assoluta. Ognuno ha la propria verità: “Io sono colei che che mi si crede… E così è, se vi pare!”
Arianna Spezzaferro