Il metro di misura nella vita è la leggerezza. Italo Calvino sostiene che per vivere meglio bisogna togliere peso alle cose.

La leggerezza non è rigidità, ma implica l’osservare i fatti nella precipua valutazione prospettica dell’elasticità mentale, che diventa tra l’altro un modus vivendi. È anche, cartesianamente, una reductio ad unum: ogni fatto va visto nel suo aspetto sintetico, nel suo nocciolo, nel suo focus, senza fronzoli e ricadute ridondanti.

La leggerezza è il colore e la quintessenza della mitezza, rifugge dalle grida, dalle stupide questioni di principio, dalle discussioni manichee, dagli indefettibili punti di vista, che si nutrono di false ed ipocrite coerenze. La leggerezza è mediazione, capacità di cogliere un punto di incontro sempre per comporre controversie. È equilibrio, morbida torsione che lascia vedere la realtà in una nuova luce, che dimentica la compostezza, propinante inutili violenze. Fa comprendere che in una guerra al nemico va lasciata sempre la via di fuga, perché un domani potrà esserti amico. La leggerezza ti fa indossare i sandali alati di Hermes, per volare in alto sopra il mare e le montagne e vedere, toccare l’altrove e l’infinito, sopra le cose e dentro le cose, illuminati dalle stelle danzanti di Nietzsche.

La leggerezza la tocchi nella poesia di Leopardi, che rifulge di uccelli, di voci femminili che cantano alla finestra della graziosa luna, che io “rammento nel volgere dell’anno e venia sovra questo colle, pieno d’angoscia, a rimirarti”.

La leggerezza rende placida e pallida la tristezza, trasformandola in malinconia; non è frivolezza, scioglie la pietrificazione e l’ossidazione del mondo. Chi vive con leggerezza conferisce alle cose il giusto valore, assume la misura come agire, senza strafare, né comportarsi con superficialità.

Come diceva un acutissimo intellettuale, Elias Canetti, la leggerezza si vede nel confronto: chi veramente è intelligente nasconde di avere ragione: la cosa più grande è quella divenuta così piccola da rendere superflua ogni grandezza. Chi ha troppe parole non può che essere solo.

Leggerezza è ironia, intesa come pudore dell’umanità: con un filo di ironia non si è mai impiccato nessuno. È avere, possedere nelle viscere il dubbio e diffidare di chi pretende di conoscere la verità. È eresia pura, anarchia al cospetto della tetra ortodossia.

È il disquarto di sé di Giordano Bruno che si pone per conoscere l’Assoluto.

Leggerezza è dionisiaco modo di vedere la vita, è coltivare la poesia, come musica dei tempi e dei segreti della natura. È non prendersi sul serio mai: fa male alla salute, diceva Eduardo De Filippo, ed invitava all’uopo ogni mattina ad una sana abitudine: guardarsi allo specchio e farsi una pernacchia.

Leggerezza è pensare che il tuo sforzo valga poco al cospetto di chi sta salvando la vita ad un bimbo in un ospedale, quando non c’è più nulla da fare. Ti fornisce le ali di Cupido, per trasportarti nel regno della bellezza e sprofondare sotto il peso dell’amore. È ascoltare un violino al chiar di luna e accarezzare il tuo amore che dorme soave.

«Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio», dice Zarathustra.

La leggerezza è conoscere il tempo nel suo fluire, perché il tempo degli eventi è diverso dal nostro.

«È Felicità raggiunta,
si cammina per te su fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.»

(Montale)

La leggerezza, dice Kundera, è ciò che dà un senso al nostro comportamento, è sempre qualcosa che ci è totalmente sconosciuto: non si sa quale sia la meta che sta dietro il nostro desiderio. Ti regala un sorriso sempre, quando il mare canta all’imbrunire con le spiagge vuote.

«Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore.»

(Calvino)

Biagio Riccio

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