Alexis Tsipras vince e, a sorpresa, vede sostanzialmente riconfermato il consenso di Syriza, forte di un 35,46%, e dei partner di governo, i Greci Indipendenti, che riescono a superare l’asticella del 3%.
Eppure, solo fino a una settimana dal voto, per i media Tsipras era un leader in declino, che aveva perso il controllo di Syriza, dilaniata dallo scontro nella Neolaia, l’organizzazione giovanile di partito, culminata con le dimissioni di gran parte della sua dirigenza; a questo problema si è poi aggiunta la scissione di Unità Popolare, guidata dall’ex-Ministro Panagiotis Lafazanis, poi supportata dallo storico partigiano Manolis Glezos e dall’ex-Presidente della Camera Zoe Kostantopoulou.
A destare ulteriori preoccupazioni, lo spettro del recupero di Nuova Democrazia, con sondaggi che ne riportavano perfino la vittoria, con la prospettiva di una strana alleanza tra i due contendenti, per consentire l’applicazione del Terzo Memorandum.
Il Primo Ministro greco ha pagato l’insufficiente investitura popolare del referendum del 5 luglio, e ha dovuto sottostare a condizioni durissime, che la cancelliera Angela Merkel e il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble hanno dettato con un duplice scopo: proseguire quel risanamento che favorisse, in ultima analisi, le banche tedesche, creando una spirale del debito delle banche elleniche nei loro confronti; inoltre, facendo leva sulla mancanza di autorevolezza di Tsipras agli occhi dei creditori, costringerlo a imporre politiche ingiuste, per distruggerne la credibilità presso l’elettorato, e così l’esperienza di Syriza e del suo fronte europeo antiausterità.
Come dichiarato più volte a giornali e tv locali, il Premier avrebbe potuto scegliere di rifiutare eroicamente il diktat tedesco, comportandosi tuttavia da irresponsabile e acutizzando l’emergenza umanitaria in Grecia. Oppure accettarne la sfida, preparandosi a proteggere le classi sociali disagiate.
Pur con rapporti di forza sfavorevoli ed errori personali, Tsipras ha vinto perché ha saputo spendere la propria alternatività rispetto al sistema di potere di Pasok e Nuova Democrazia, portando a buon fine i processi provocati con l’accettazione del Memorandum e con le sue dimissioni.
Infatti la concessione di un prestito da 86 miliardi a restituzione scaglionata, insieme alle risorse liberatesi con le sofferte “privatizzazioni” degli aeroporti (in affitto quarantennale ai privati) e del Pireo, ha permesso una momentanea ma vitale ripresa economica.
Il leader della sinistra guadagna così del tempo a disposizione, con cui restituire i finanziamenti e pensare a tutele per i più deboli; e, contando ancora su un largo sostegno, in base ai sondaggi, decide di rimettersi in gioco, dimettendosi, per provare ad avere con le elezioni una nuova maggioranza: vuole un forte consenso popolare per trattare a ottobre con il FMI, per rivitalizzare il movimento antiausterità, in crisi per la “tregua” del 13 luglio, e per evitare che il continuo apporto del centrodestra e del centrosinistra, durante il voto del piano di salvataggio, portasse a una normalizzazione del suo partito.
È con questi presupposti che inizia per Tsipras una capillare e intensa campagna elettorale. Un tour con l’obiettivo di acquistare nuovi consensi, rimediare alla mancata apertura alla società diffusa, e recuperare il contatto con i militanti e con la struttura sociale di Syriza.
Tsipras ha quindi affrontato gli ultimi eventi come un capo di governo responsabile per i creditori, rispettando gli accordi, e per i suoi elettori, che ne hanno apprezzato la tenacia nel perseguire un obiettivo: portare la ridiscussione della gestione della crisi greca ed europea al centro della scena politica internazionale, e renderla più sostenibile.
Non ha vinto un leader carismatico di un comitato elettorale. Ha vinto un segretario di una forza di sinistra radicale, che si serve dei meccanismi di governance e di lotta contro la corruzione in una prospettiva di giustizia sociale.
Eduardo Danzet