Gli attentati del 13 novembre a Parigi stanno innescando nel nostro continente gli stessi meccanismi politici e la stessa retorica che spinsero gli Stati Uniti sotto la presidenza di George W. Bush a dichiarare quella “War on terror” che portò, giustificata dalla paura e voglia di vendetta, al Patriots Act, Guantanamo Bay ed altre limitazioni delle libertà fondamentali in nome della sicurezza.
Ed ora la corsa alle armi, la guerra del cavaliere senza macchia e senza paura Hollande che si è detto pronto a vendicare ogni vittima di Parigi, come se i civili siriani non fossero innocenti quanto i ragazzi francesi uccisi senza pietà dalle pallottole dell’Isis, come se il terrore di vivere sotto i continui bombardamenti delle potenze occidentali non avvicinasse i cittadini di quelle regioni ad imboccare la strada della guerra santa.
La guerra è nell’aria, è invocata a gran voce dall’Europa come un dato di fatto a cui non si può sfuggire, è una guerra iniziata dal nemico che, ci dicono, ci ha provocato, ha ucciso i nostri fratelli, ed è ora di rispondere con la stessa forza, anche se non si ha ancora un’idea precisa di cosa fare, anche se non si sa come trovare un compromesso tra i vari interessi in gioco: gli Usa che sostengono la Turchia, che preferisce bombardare le postazioni curde a quelle dell’Isis e che dai propri confini ha spesso fatto passare le nuove reclute di Daesh, i curdi che a loro volta supportati dagli Usa sono in guerra con la Turchia, la Russia che vuole combattere l’Isis assieme a Francia e Stati Uniti ma che spalleggia quell’Assad che gli Stati Uniti e la Francia non vogliono più vedere al potere.
Nel frattempo la logica dell’emergenza e della sicurezza, la retorica della guerra giusta, santa anche per noi, spinge il presidente della Commissione Europea a rilanciare con più forza di prima quel progetto (già presente nel programma elettorale di Juncker ai tempi della candidatura alla presidenza della Commissione) di un Esercito dell’Unione europea, sogno dei federalisti europei dai tempi del fallimento della Comunità Europea di Difesa, per mano della Francia gollista.
L’idea sarebbe di rilanciare il progetto partendo dalla Permanent Structured Cooperation (Pesco) in materia di sicurezza e difesa, prevista dall’art. 42 del Trattato di Lisbona, così da giungere alla creazione di un esercito comune che segua le linee guida decise dagli Stati a livello europeo, nell’ottica di rafforzare l’integrazione e garantire una risposta univoca alle sfide della sicurezza globale.
Ma all’Unione Europea serve davvero un esercito?
Vista da una prospettiva federalista, la possibilità che i paesi dell’Unione possano avanzare il livello di integrazione in ambito militare potrebbe anche leggersi come un possibile passo in avanti verso la creazione di uno Stato federale europeo in luogo di questa Unione sempre più mercantilista ed antidemocratica.
Se l’esercito europeo potesse davvero essere portatore di una maggiore consapevolezza europea, di una politica di difesa razionale volta a risolvere i conflitti senza fretta, in grado di limitare i danni nel tempo e portare degli effettivi miglioramenti in termini di democrazia e sviluppo del Medio Oriente, allora forse saremmo di fronte ad un enorme progresso. Ma la sensazione è che dietro la creazione di un esercito europeo, si nasconda un ulteriore ostacolo verso la costruzione dell’Europa della pace e dei popoli e che dietro la difesa dei valori comuni della democrazia e dell’uguaglianza si celi un attacco a quegli stessi valori, ridotti dall’interno con la retorica dell’attacco dall’esterno.
E allora è davvero giusto cedere i nostri privilegi, conquistati in decenni di lotte contro i totalitarismi vecchi e nuovi, per affidarci ciecamente alla logica securitaria?
Certamente la sicurezza deve essere garantita ai cittadini europei, certamente la minaccia del terrorismo non deve essere sottovalutata, ma non possiamo permetterci di rinunciare a tutto quello che abbiamo costruito per la paura che un giorno qualcuno possa venire a rubarcela. L’esercito europeo non è la strada giusta da perseguire al momento perché potrebbe alimentare le tensioni con la Russia e fornire ottimi motivi a Daesh per reclutare nuovi adepti pronti a combattere contro quell’Occidente che continuerebbe a mostrarsi sempre più pronto al conflitto, sempre meno disposto all’accoglienza e alla difesa della democrazia e all’inclusione sociale.
Prima dell’esercito europeo dovremmo quindi chiedere ai nostri leader un’Unione Europea più democratica e unita, in cui i cittadini possano davvero influenzare le scelte politiche, economiche e militari, perché abbiamo già visto di quali disastri è capace questa governance europea, quando può permettersi di agire in assenza di democrazia.
Antonio Sciuto