“Una vera e propria famiglia, ed un rapporto di filiazione in piena regola”: così la scorsa settimana i giudici del Tribunale dei minori di Firenze hanno segnato la prima vera svolta nel settore delle adozioni gay in Italia, riconoscendo lo status a due fratellini e ai loro papà che avevano ottenuto un analogo provvedimento in Gran Bretagna.
Il significato di questa notizia, passata un po’ sottotraccia, è più ampio di quanto possa sembrare, perché introduce un approccio diametralmente opposto a quello degli ultimi decenni sul tema, e perché colma, almeno in parte, una situazione di vacatio legis che il recente ddl Cirinnà sulle unioni civili non aveva contemplato.
Il Tribunale ha deciso “nell’interesse dei minori”, ma com’era prevedibile, la decisione non ha mancato di suscitare clamore.
“Una sentenza inopportuna e pericolosa”, la definisce Famiglia Cristiana; “un pressing giudiziario che rischia di diventare dittatura culturale”, rincara la dose Avvenire. Logico attendersi una simile presa di posizione dalle due testate del mondo cattolico, così come dagli ambienti della destra tradizionalista: “Quella del Tribunale dei minori di Firenze è una decisione disumana: a nessun bambino può essere negato il diritto di avere una mamma”, ha commentato Giovanni Donzelli, il coordinatore dell’esecutivo nazionale di Fratelli d’Italia.
Chissà se pensa lo stesso anche delle mamme che vengono lasciate morire in mare mentre provano a raggiungere l’Italia, che il suo partito vorrebbe respingere in massa.
Il problema, com’è ovvio, è non solo culturale ma anche politico. E il nostro Parlamento, che più volte in passato ha provato a regolamentare le unioni e le adozioni gay, con scarsi risultati, si trova allo stato attuale aggrovigliato ad un marasma legislativo che crea confusione ed incertezza giuridica.
Certo sarebbe superfluo riconoscere la profonda influenza che il Vaticano esercita tuttora sull’operato governativo – ben più di quei giudici che vengono disegnati come megalomani in cerca di potere. Eppure, se ricordo bene, noi siamo quelli a cui piace sentenziare sui musulmani e le loro tradizioni retrograde; salvo poi farci imporre, con la stessa sicumera, dettami dalla dottrina cattolica. La differenza mi sfugge, ma sono sicuro che riuscirò a trovarla, prima o poi.
Nel frattempo il clima culturale è mutato, sì, lo è di certo in noi e intorno a noi, e mi rincuora veder messe al centro le esigenze dei bambini, ancor prima delle esigenze elettorali di qualcuno. In fondo, che sia meglio avere due papà piuttosto che nessun genitore è abbastanza intuitivo: del resto, fino a un secolo fa ci sembrava impensabile che le donne potessero votare, o che le persone di colore potessero viaggiare sugli stessi pullman dei bianchi, o sbaglio? Ben venga lo scandalo, allora, finché fa parte di quel processo di sintesi evolutiva che ci conduce verso il progresso; un progresso lento, faticoso, ma per fortuna inevitabile.
Quel che appare evidente, a conti fatti, è l’incapacità della politica di fornire risposte e strumenti normativi alle coppie – non solo omosessuali. I procedimenti di adozione, per dirne una, restano tra i più complicati e restrittivi d’Europa, e finiscono spesso per fallire: intervenire in tal senso potrebbe essere un buon punto di partenza per sottrarre qualche fanciullo in più alla solitudine e qualche argomentazione in più ai costruttori di polemiche.
“Non possiamo continuare a dipendere dall’interpretazione della legge dei Tribunali”, conferma Marilena Grassadonia, presidente delle Famiglie Arcobaleno. Eppure forse ai politici conviene che siano i giudici ad occuparsi di questioni scomode: prima fanno il lavoro sporco al posto loro, poi vengono pure attaccati per averlo fatto.
Intanto, adesso due bambini hanno la possibilità di avere qualcuno da chiamare “papà” anche in Italia e questo è un dato che nessuno potrà mai strumentalizzare.
Buona domenica, lettori cari.
Emanuele Tanzilli
@EmaTanzilli
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