Negli Emirati Arabi Uniti, nello scorso novembre per la prima volta una donna è stata scelta per presiedere il Parlamento nazionale.
La notizia dà un ulteriore contributo per scongiurare l’identificazione dell’Islam con l’estremismo dell’ISIS, spesso incoraggiata dai dibattiti occidentali sul trattamento riservato alle donne nelle culture musulmane.
Gli Emirati Arabi Uniti sono una federazione di singole entità, gli emirati, appunto, i più importanti dei quali sono quello di Abu Dhabi e quello di Dubai. Ogni emiro governa da monarca assoluto il proprio territorio; tutti insieme eleggono poi un sovrano comune. Il Parlamento, con quaranta componenti, ha funzioni soltanto consultive ed è eletto dal popolo per la metà dei membri, con l’altra metà che è invece nominata dagli emiri. Sono stati proprio questi a decidere che la dottoressa Amal Al Qubaisi, prestigioso architetto, dovesse ricoprire la carica di Presidente dell’assemblea, consentendole di conseguire così un altro traguardo storico, dopo quello, raggiunto nel 2006, di prima donna eletta proprio in Parlamento.
La nomina della Al Qubaisi va dunque considerata un evento in sé importante, ma va sottolineato che rappresenta il coronamento di un percorso che parte da lontano. Già da anni, infatti, il governo degli Emirati ha rivendicato con forza di essere all’avanguardia per la promozione dei diritti umani e delle donne in particolare: molte sono le signore che ricoprono incarichi prestigiosi e la stessa Al Qubaisi, fino alla nuova investitura, era a capo dell’importante Consiglio per l’Educazione di Abu Dhabi. L’ambasciata degli Emirati negli USA ha dedicato persino una sezione del proprio sito internet alla pubblicazione dei risultati conseguiti nella promozione dei diritti delle donne, vantandosi di avere, in alcuni casi, sorpassato persino gli standard occidentali di pari opportunità. Una simile autopromozione conviene anche economicamente al Paese: il petrolio ha finanziato uno sviluppo travolgente e per lavoro intere famiglie occidentali si trasferiscono a Dubai o Abu Dhabi, aspettandosi standard di qualità della vita simili a quelli dei luoghi di provenienza.
Al di là delle conquiste sociali ed economiche, gli Emirati intendono però mantenere ancora un equilibrio tra la modernità rampante e tradizioni socio-culturali radicate nella cultura islamica. La Shari’a vige ancora accanto alla giurisdizione civile e penale laica: tribunali religiosi amministrano una giustizia parallela che processa comportamenti non socialmente accettati, come tenersi per mano in pubblico. Gli emiri che regnano sul Paese rappresentano le figure tradizionali dei sovrani assoluti del mondo arabo. In Parlamento siedono otto donne, che indossano tutte il chador. Il suffragio è aperto alle donne, ma non è universale.
In un simile contesto, il forte valore della presidenza della Al Qubaisi può essere allora utile agli occidentali per capire che la cultura islamica “moderata” non è da considerare tale solo perché funziona secondo meccanismi necessariamente assimilabili a quelli dell’Occidente. Anzi, questo codice culturale per certi aspetti nemmeno è interessato ad imitare tutte le caratteristiche delle società occidentali, perché preferisce conservare immutate alcune peculiarità di cui l’Occidente talvolta diffida (basti pensare alla radicale politica contro il velo stabilita dalla Francia); in fin dei conti, però, esempi come gli Emirati dimostrano che la cultura islamica moderata è comunque in grado di raggiungere fondamentali traguardi in tema di diritti civili tradizionalmente considerati patrimonio delle società occidentali, pur seguendo autonomamente la propria ispirazione.
Alla luce di queste considerazioni, ancora più rivoluzionario appare il voto esercitato dalle donne in Arabia Saudita in occasione delle elezioni municipali dello scorso 12 dicembre. In questo Paese la cultura islamica è molto più radicale rispetto agli Emirati: l’applicazione della Shari’a è capillare e le donne non possono nemmeno guidare. Eppure, in conseguenza di un decreto emanato dal Re nel 2011, sull’onda emozionale della “primavera araba”, le donne hanno potuto votare ed essere votate e in tre sono già state date per elette nella regione della Mecca. Si tratta davvero di un evento storico, che coinvolge un Paese in cui l’opinione pubblica è tra le più conservatrici del mondo islamico, che sistematicamente finisce sotto i riflettori per le violazioni di diritti umani e di cui non sono stati mai chiari i rapporti con l’ISIS, nonostante Dabiq l’abbia inserito (con gli Emirati) nelle sue liste nere di “crociati” alleati contro il Califfato.
Ludovico Maremonti