Genocidio autentico e “certificato”, quello perpetrato dai miliziani dell’ISIS ai danni dei curdi di culto yazidista in Iraq, nella zona dei monti Sinjar, al confine con la Siria. Se prima le notizie dall’area non erano considerate, adesso con la liberazione della città di Sinjar, a pochi kilometri dal confine siriano, se ne hanno le prove.

L’attribuzione del termine genocidio, come riporta il Washington Post, arriva dallo US Holocaust Memorial Museum in un rapporto sulle minacce alle minoranze irachene, tra le quali figura quella degli yazidi, seguaci di un culto sincretico monoteista di origine pre-islamica giudicato eretico dai miliziani sunniti.
Nell’assedio ai monti Sinjar, nell’agosto 2014, tra le 40 e le 50mila persone furono chiuse in una sacca dall’ISIS, e a centinaia caddero sotto i colpi di fame e sete, resistendo però fino a dicembre, quando alcuni resistenti curdi dei gruppi YPG e YPJ riuscirono ad evacuare la zona. Altri invece – molti i bambini e le donne – furono presi, uccisi o fatti schiavi, al fine di estirpare la loro cultura. Naomi Kikoler, che ha lavorato al rapporto, riferisce che «contrariamente agli altri seguaci delle religioni del Libro, che hanno avuto la possibilità di versare un tributo o di convertirsi per evitare la morte, agli yazidi non è stata offerta alcuna scelta», mettendo in evidenza l’intenzionalità dell’azione.

Il riconoscimento del genocidio, d’altronde, apre le porte al diritto internazionale: può essere un’accusa da parte di una corte internazionale, così come, secondo quanto prescritto dalla Convenzione ONU sul genocidio, tutti i paesi firmatari hanno il dovere di intervenire per prevenirli e punirli; sarebbe pertanto una legittimazione in caso di delibera del Consiglio di Sicurezza su un intervento di truppe di terra contro lo Stato Islamico.

Il Guardian riferisce del rinvenimento di una fossa contenente i resti di almeno una settantina di donne del villaggio di Kocho, 76 secondo Al Jazeera, che il New York Times stima avessero un’età compresa tra i 40 e gli 80 anni: i sopravvissuti raccontano di come le donne più vecchie siano state separate da quelle più giovani, rapite come schiave sessuali, e portate in un edificio nel quale sono state giustiziate e poi ammassate in fosse comuni.

Se è vero che nella giornata di venerdì la bandiera curda è stata innalzata nella città di Sinjar, fornendo dunque uno spiraglio luminoso nella serata spenta dagli attentati di Parigi, va comunque detto che fonti militari americane dichiarano che ad essere stata liberata da peshmerga e yazidi non è che la parte orientale della città, mentre l’altra risulta ancora in mano ai miliziani dell’ISIS. Ciò che si immagina è che quelle prime fosse non siano che le prime ritrovate, e che una volta liberata completamente Sinjar si troveranno dai 3000 ai 5000 resti di curdi yazidi.
Si può immaginare che i miliziani dalle bandiere nere opporranno una forte resistenza nonostante l’offensiva combinata via terra e via aria, perché la città di Sinjar è uno snodo che mette in raccordo le aree petrolifere del nord dell’Iraq con la roccaforte miliziana di Raqqa, in Siria.

Simone Moricca

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