Ormai si chiacchiera da giorni sulla svolta che il nuovo Presidente del Brasile, il leader dell’ultradestra Jair Bolsonaro, potrebbe dare al caso della mancata estradizione in Italia dell’ex terrorista rosso Cesare Battisti, dopo decenni di latitanza all’estero e circa 14 anni proprio in Brasile.

In barba a ogni implicazione giuridica, a ogni decisione di organi giurisdizionali supremi del suo Paese e quindi alle stesse leggi brasiliane sull’estradizione, forse inebriato dalla carica presidenziale appena ottenuta anche grazie – parole sue – all’appoggio del Ministro dell’Interno italiano, Bolsonaro e il figlio sono arrivati a promettere via Twitter a Matteo Salvini di rimandare in Italia l’ex membro dei Proletari Armati per il Comunismo. Del resto, ha dichiarato ancora Bolsonaro, «in Brasile ci sono già troppi criminali».

Si tratta di una mossa a effetto fondata su motivi di opportunità politica, più che di concreta possibilità giuridica, che promette di scrivere un nuovo capitolo della storia di quell’asse internazionale delle destre, quasi una “internazionale populista“, che tra Europa e America (e specialmente tra Italia e Brasile) sembra farsi sempre più attuale.

Questioni giuridiche e “fanfaronate” in Brasile

Innanzitutto va premesso che, per quanto le dichiarazioni a effetto di Bolsonaro possano indurre a pensare il contrario, la vicenda dell’estradizione di Cesare Battisti – che si trascina da anni da una sponda all’altra dell’Atlantico tra tensioni diplomatiche e giudiziarie, decreti presidenziali e pronunce di Corti Supreme – non sembra poter arrivare a conclusione nemmeno stavolta.

Infatti, le uniche certezze in questa storia sono sempre e solo le stesse, già note da tempo: la condanna in via definitiva all’ergastolo in Italia di Battisti; il diniego dell’estradizione da parte dell’ex Presidente Lula con decreto; la decisione del Tribunale Supremo brasiliano e dell’Avvocatura dello Stato di quel Paese sulla legittimità dello stesso decreto.

Per il momento, dunque, l’atteggiamento “giustizialista” di Bolsonaro, che appunto annuncia l’estradizione all’amico Salvini (come se l’estradizione di un ergastolano condannato per 4 omicidi di matrice terroristica possa essere una questione di favori personali tra leader politici), costituisce solo una «fanfaronata», come l’ha definita lo stesso Battisti, una boutade perfettamente coerente con la caratura poliziesca del neo Presidente.

Sì, perché in questa vicenda l’ostacolo principale è giuridico, quindi insuperabile pure da parte di un’istituzione di assoluto vertice come il Presidente brasiliano: l’estradizione da un Paese a un altro, infatti, non è possibile senza che sussistano particolari condizioni.

In particolare, il Brasile ha sempre sospettato che l’atteggiamento del sistema giudiziario italiano nei confronti di Battisti sia stato persecutorio: negli anni, questo ha costituito quasi sempre il nodo centrale della questione, dato che Brasilia ha anche concesso lo status di rifugiato politico all’ex terrorista e che Lula basò il diniego dell’estradizione proprio su questo presupposto. Il fatto che Cesare Battisti sia stato comunque dichiarato in linea di principio “estradabile” non può essere, secondo la legge brasiliana, il presupposto automatico di un ulteriore passo verso l’estradizione.

Considerato che ancora oggi il decreto di Lula dovrebbe essere considerato irrevocabile dalla magistratura brasiliana, a causa della scadenza dei termini per il ricorso, Battisti avrebbe dunque piena ragione a qualificare gli annunci di Bolsonaro e figlio come “fanfaronate”.

La “politica” dell’estradizione

A quanto pare, dove finisce la questione giuridica si profila l’importante aspetto politico: Bolsonaro sembra volere sfruttare la vicenda di Battisti a proprio vantaggio, soprattutto in campo internazionale.

Va premesso che il Brasile non è mai stato convinto fino in fondo del valore del processo italiano nei confronti di Battisti, né per quanto concerne il senso della lotta al terrorismo degli anni Settanta che quel processo incarnò, né per quanto riguarda il sistema giudiziario italiano in sé: la Repubblica sudamericana ha costantemente tacciato di parzialità politica la vicenda giudiziaria di Cesare Battisti, su cui però si è consolidato un giudicato che pochi, storicamente, hanno messo in discussione.

Negli anni, questo equivoco basilare ha consentito che si rafforzassero le posizioni personali (e la protervia) di due personaggi quantomeno discutibili: la prima, quella del terrorista, che non ha mai nascosto la soddisfazione per essere riuscito a sfuggire alle maglie della giustizia italiana, accusata appunto di aver montato nei suoi confronti una vera persecuzione; la seconda, quella di Lula, che in nome dei valori della sinistra brasiliana si è posto come difensore di diritti umani e civili (salvo poi incappare nel mega scandalo di corruzione che ha completamente annichilito proprio la sinistra del suo Paese).

Ebbene, anche questo miscuglio di errori di valutazione e trasversali convenienze politiche e personali ha condotto a un situazione in cui oggi i nuovi vincitori, proprio grazie alla “politica delle fanfaronate“, possono essere Bolsonaro e il suo amico Salvini.

L’estradizione di Cesare Battisti e la “internazionale populista” di Bolsonaro e Salvini

Il giustizialismo poliziesco “urlato” da Bolsonaro durante tutta la campagna elettorale unito alla nota attitudine del leghista rivelano la continua fame di consenso e legittimazione anche in relazione ad argomenti scomodi o delicati, in puro stile “celodurista”. Inoltre, come rivelato dai post dei Bolsonaro su Twitter dopo la vittoria alle presidenziali, questo atteggiamento politico consente al Presidente e a Salvini di confermare un asse reciprocamente interessato, che si inserisce appunto nella nuova “internazionale populista”.

Il populismo, e quindi il “popolo”, tende spesso a trascurare istituzioni e procedure che (purtroppo in casi come quello di Battisti e per fortuna quando ce n’è davvero necessità) esistono e sono la garanzia dello Stato di diritto; una garanzia con cui bisogna fare sempre i conti, prima di annunciare trionfalmente questa o quella mossa politica.

Ecco perché, nonostante facciano storcere il naso ai giuristi, le affermazioni di Salvini sullo “andare a prendere Battisti di persona” fino in Brasile, così come la nonchalance di Bolsonaro nel dichiarare che al più presto rimanderà il terrorista in Italia (il figlio ha parlato di «regalo in arrivo»), vanno presi molto sul serio dal punto di vista politico: si tratta infatti di dichiarazioni destinate a far presa su un “popolo” che, in nome della “giustizia”, trascura i valori e i meccanismi necessari della Giustizia.

“Dimenticando” (e facendo dimenticare) cosa significhi l’istituto dell’estradizione in Brasile, Bolsonaro si conferma agli occhi del proprio elettorato come implacabile sceriffo-giustiziere, mentre nel frattempo tenta una volta di più l’impresa di diventare proprio lui, un reazionario, omofobo e sessista, il migliore amico dell’Italia, un Paese europeo con una solida tradizione dei diritti costituzionali e del valore della magistratura e del processo penale.

Va detto che l’Italia di Salvini non farebbe certo fatica ad accettare simili “relazioni pericolose”, essendo d’altra parte pronta, c’è da scommetterci, a incoronare il Ministro come colui che ha risolto uno dei più gravi casi giudiziari della storia del Paese, grazie agli agganci politici costruiti intorno alla “internazionale populista”.

In questo quadro, la figura che davvero suscita un po’ di tristezza è quella dello stesso Cesare Battisti, che rimane trincerato nella sua polemica “antifanfaronate”, non avendo inteso (o avendolo fatto, ma standogli bene così finché resta fuori dal carcere a vita) di essere diventato una semplice pedina in mano al potere reazionario.

Al contrario, l’unica vera perdente rischia di essere ancora e soltanto la giustizia italiana, insieme ai valori sociali e giuridici che prova a difendere.

Ludovico Maremonti

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