A distanza di otto anni dalla morte di Eluana Englaro, il Consiglio di Stato stabilisce che la Regione Lombardia debba risarcire Beppino Englaro, padre della giovane.

La Regione è stata giudicata rea d’aver rifiutato, all’epoca, di ottemperare alle disposizioni della magistratura, che a seguito di una lunga battaglia legale autorizzò l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale cui era sottoposta Eluana.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n° 21748 del 16 ottobre 2007, stabiliva difatti che fosse possibile ricorrere all’interruzione sopradetta in presenza di due condizioni: l’attestazione di uno stato vegetativo irreversibile e la verificabilità della volontà della persona in stato vegetativo di ricorrere a tale misura. Come la cronaca non ha mancato di riportare, ambedue le condizioni risultarono essere dimostrabili e dopo diciassette anni di incoscienza a Eluana fu concessa la libertà, ciò anche sulla base di un suo ipotetico biotestamento.

Tuttavia, tale libertà, riassumibile nella libertà di scelta, non gode ad oggi di uno status giuridico in grado di garantirla e difenderla dalla presunzione etica altrui: né l’eutanasia né il biotestamento sono stati tradotti in legge.

Con riguardo al secondo tassello, il DDL sul biotestamento, “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, è stato approvato il 20 aprile 2017 dalla Camera, trasmesso il giorno successivo al Senato e attualmente in esame.
L’esame in commissione è iniziato il 21 giugno ed è interesse dei promotori che il disegno di legge venga approvato in via definitiva prima che scada la legislatura, al fine di non prolungare ulteriormente un dibattito che vede implicati interessi medici, etici e civili e una società che, stando alle parole di Marco Cappato, «è assolutamente pronta» ad accogliere il biotestamento.
Il primo articolo del DDL, “Consenso informato”, stabilisce al primo comma i criteri fondanti dell’intero progetto:

«La presente legge, nel rispetto dei princìpi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.»

Le tutele chiamate in causa si ascrivono al diritto di scegliere per se stessi in piena libertà e soprattutto consapevolezza. Quest’ultima, in particolare, rappresenta un elemento imprescindibile nell’ambito qui discusso: il paziente ha il diritto di essere bene informato riguardo alla propria condizione di salute, ai trattamenti sanitari attuabili, ai rischi implicati e alle conseguenze di un’eventuale interruzione del trattamento – a tale fine, è necessario che medico e paziente condividano un rapporto di fiducia reciproca, laddove il primo metta a disposizione del secondo la propria competenza e professionalità.
Il consenso informato «è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare» ed è revocabile in qualsiasi momento attraverso i medesimi canali.
Stabilisce ancora il DDL che, anche laddove si ricorra all’interruzione dei trattamenti sanitari – intesi quali nutrizione e idratazione artificiali –, al paziente devono essere assicurate le misure atte a lenirne le sofferenze.

«Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari.»

Così recita parte del primo comma dell’articolo 4, che tratta le disposizioni anticipate di trattamento (DAT) – revocabili e modificabili. Nonostante quanto riportato, le disposizioni, qualora non risultino coerenti alla situazione clinica del paziente o siano precedenti all’introduzione di terapie di cui il soggetto possa beneficiare, possono essere disattese dal medico – ciò in coerenza alla tutela della salute e del consenso informato. Il DDL introduce anche la figura di un fiduciario, ossia una persona indicata dal soggetto quale facente le veci nel caso in cui si verifichi una situazione di necessità.

Quella che è stata indicata come legge sul biotestamento si presenta quale disegno di legge implicante diverse situazioni, tutte concatenate e tese a tessere una tela di tutela dell’individuo e del suo diritto a essere libero di conoscere le proprie condizioni di salute e soprattutto di poter disporre di se stesso nel caso in cui si verifichino circostanze simili a quelle che hanno investito le vite di Eluana Englaro, guardando al passato, e di DJ Fabo, guardando al presente più noto.

Il presidente del Senato Pietro Grasso, in una lettera indirizzata a Carlo Troilo dell’Associazione Luca Coscioni, ha ribadito la necessità di portare a termine l’iter del biotestamento – e dello ius soli – entro la fine della legislatura, poiché in caso contrario «sarebbe davvero un pessimo segnale da parte della politica e delle istituzioni nei confronti di chi attende risposte concrete ai suoi problemi». Tuttavia, ciò che appare evidente è che, a distanza di più di otto anni dalla sentenza che identificava condizioni che consentivano di interrompere i trattamenti sanitari nel caso specifico sopracitato, l’Italia politica non ha ancora convenuto all’unanimità che possa essere civile, etico e umano concedere ai cittadini la libertà di scelta.

Rosa Ciglio

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