Un no secco alle trivellazioni sembra unire l’Italia più di quanto non sappiano fare eventi di carattere nazionale. Ancora una volta, la contrarietà ai provvedimenti del Governo evidenzia i contorni di un Paese profondamente insoddisfatto.
La proposta di referendum abrogativo sulle trivellazioni autorizzate dal decreto Sblocca Italia, in coerenza all’articolo 75 della Costituzione, doveva vedere l’adesione di almeno cinque regioni affinché fosse possibile concretizzare l’azione presso la Corte di Cassazione.
Ad oggi, ultimo giorno utile per ricorrere al referendum, le regioni aderenti sono anche più di cinque, tutte concordi nel ripristinare le proprie aree di competenza e nel difendere gli interessi economici e ambientali delle zone, marittime e non, destinate alle trivellazioni.
«Questo referendum chiede l’annullamento di articoli che hanno espropriato Regioni e Comuni sulla possibilità di dare pareri rispetto alle trivellazioni» ha affermato D’Amelio, presidente del Consiglio Regionale della Campania. Parole che richiamano quelle pronunciate da Lacorazza, presidente del Consiglio Regionale della Basilicata, prima regione – nonché tra quelle più a rischio – ad aderire all’iniziativa: «Non si può decidere solo a Roma il destino dei territori».
Quest’oggi, i delegati regionali di Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise depositeranno sei quesiti inerenti alla regolamentazione dell’estrazione di idrocarburi, chiedendo di fatto l’abrogazione di taluni punti dell’articolo 38 del decreto Sblocca Italia e di norme correlate contenute nell’articolo 35 del decreto Sviluppo.
Sostanzialmente, il no alle trivellazioni si configura quale reazione ad un Governo che sembra dare ascolto a tutti, ad eccezione dei propri cittadini.
Diverso l’approccio dell’Emilia Romagna, che considera il referendum abrogativo una non-soluzione, poiché il problema sarebbe solo aggirato, anziché risolto. La proposta che la regione intende presentare al Governo, esternata dal presidente Bonaccini, è quella di modificare l’articolo 38 dello Sblocca Italia, definito «confuso e in alcune parti inattuabile».
Il dibattito, a questo punto accesissimo, si conduce su due binari differenti: da un lato la necessità delle regioni di poter vagliare e scegliere, dall’altro la salvaguardia del territorio.
Il territorio, in particolare, deve intendersi come insieme di interessi ambientali ed economici: snaturare un paesaggio, imbruttirlo con trivellazioni e cantieri, crea problemi anche all’economia del luogo, poiché può danneggiarne il turismo e il commercio.
Un insieme di problematiche che dovrebbero essere tollerate in ragione del beneficio cui si tende, ossia un’Italia autosufficiente in materia di energia, con conseguenze positive sul bilancio, favorito dallo sfruttamento di tutte le risorse del territorio.
Legambiente, mostrando scetticismo dinanzi ai propositi, sostiene che il totale delle riserve certe del Paese sarebbe consumato in appena tredici mesi – insufficiente, dunque, il beneficio se paragonato ai problemi ad esso legati.
In ragione dei due binari è lecito chiedersi se le regioni, con il referendum abrogativo, stiano dicendo davvero no alle trivellazioni o se stiano tutelando le materie di loro competenza. Non è da escludere neanche la coesistenza di ambedue i fini, d’altronde non è semplice sacrificare, per ragioni sia pure condivisibili, una grossa porzione del territorio nazionale.
Rosa Ciglio