Romania, Slovacchia, Polonia, Lituania, Lettonia, Bulgaria. Fino a ieri nella blacklist dei diritti LGBT nell’Unione Europea figurava anche l’Italia. 11 Maggio 2016: il giorno in cui, a quasi trent’anni dalla prima proposta in merito, l’Italia approva le unioni civili tra coppie dello stesso sesso con il DDL Cirinnà. Dopo la condanna della Corte europea dei diritti umani e le due sentenze della Corte Costituzionale, fanalino di coda dell’Europa Occidentale, è arrivato finalmente il momento di approvare questa sofferta legge.
Con 372 voti a favore, 51 contrari e 99 astensioni la Camera ha dato il via libera definitivo alla legge Cirinnà.
Lati oscuri ed episodi spiacevoli, ce ne sono stati anche in quest’occasione, insomma non è stato tutto “rainbow”. Ci sono stati emendamenti del calibro di “sostituire le parole unione civile con unione renziana” oppure con “scommesse sportive“, si sono susseguiti gli appostamenti a mo’ di gufo delle sentinelle in piedi fino ad arrivare alle parole di Marchini, candidato del centrodestra a Roma, che ha detto di non voler celebrare unioni omosessuali laddove diventasse sindaco. Qualcuno dica a Marchini che non solo sarebbe fuorilegge ma che la sua presenza per ufficializzarle non è necessaria. E pensare che due anni fa il caro Alfio voleva istituire un registro per le coppie omosessuali a Roma. Poi è arrivata la dichiarazione di Salvini che ha invitato i sindaci leghisti a “disobbedire”, definito xenofobo persino da un giornale di destra spagnolo come La Razòn.
L’analisi della legge, così com’è stata approvata, deve considerare due aspetti: l’esclusione della stepchild adoption da una parte e gli effettivi diritti e doveri raccolti nella legge. Sul primo punto bisogna riprendere le parole del presidente delle famiglie arcobaleno, Marilena Grassadonia, che ritiene che per punire gli adulti sono stati colpiti i figli cui continua ad essere negato il diritto ad avere due genitori. Secondo la Grassadonia con questa legge «i diversi rimangono diversi». Non c’è dubbio, la stepchild adoption avrebbe garantito un importante diritto per le famiglie arcobaleno e la legge Cirinnà non parla né di “figli” né di “famiglie”, bensì di “formazioni sociali tra coppie dello stesso sesso”. A ribadire il concetto è anche il quotidiano spagnolo El Pais che raccontando l’approvazione della nostra legge ha parlato di disegno di legge “descafeinado” cioè snaturato, impoverito (letteralmente “decaffeinato”).
Se da un lato si è considerato ciò che è stato tagliato, da un altro vanno osservati i contenuti reali del provvedimento, tutt’altro che effimeri: reversibilità della pensione, eredità, cura e reciproca assistenza, congedo matrimoniale, comunione dei beni e assegni familiari. Un passo avanti che, per quanto insufficiente, pone le basi per progessi futuri.
Per certi versi l’unione civile omosessuale risulta molto più al passo coi tempi rispetto all’istituto del matrimonio: divorzio in tre mesi e non sei, aperta la possibilità a scegliere un cognome principale mentre nel matrimonio si prende automaticamente quello del marito (patriarcato docet).
E qui verrebbe da tirare in ballo la linguistica: così come un mutamento linguistico prima di essere riconosciuto dalla norma deve essersi diffuso e assimilato completamente, anche nel caso dei diritti LGBT la realtà è arrivata prima della norma, della legge: dagli spot friendly sino ai congedi matrimoniali a coppie omosessuali di IKEA, dalle campagne contro l’omofobia nelle scuole sino ai registri delle unioni civili in molte città italiane. A sostegno di questa ipotesi va considerato il sondaggio condotto da Demos a febbraio di quest’anno: il 56% degli italiani è favorevole al matrimonio gay e “solo” il 29% si dice contrario alle unioni civili. Sono dati poco incoraggianti per il popolo del Family Day, che ha lanciato la sfida del referendum abrogativo in nome della famiglia tradizionale.
Deve essere precisato inoltre un secondo istituto attivato dalla legge Cirinnà, quello delle coppie di fatto etero e omosessuali. Anche se meno regolata rispetto all’unione civile, questa legge riconosce anche l’esistenza delle coppie di fatto e ne garantisce alcuni importanti diritti come la visita, l’assistenza e l’accesso ai dati personali in caso di malattia, ma anche i diritti di visita in carcere e di risarcimento del danno in caso di morte del partner.
La legge Cirinnà è un importante passo avanti, ma più che un traguardo è un punto di partenza, un buon punto di partenza, per le battaglie delle famiglie arcobaleno e del mondo LGBT. Insomma meglio tardi che mai, ma non chiamiamola uguaglianza.
Giacomo Rosso