#IoColtivo
Fonte: IoColtivo.eu

#IoColtivo, un’asserzione coraggiosa e un’iniziativa di disobbedienza civile.

Promossa da Meglio Legale, Associazione Luca Coscioni, Dolce Vita e Radicali Italiani, #IoColtivo si propone come strumento per riaccendere il dibattito sulla decriminalizzazione dell’uso personale della cannabis.

Un’iniziativa che, piuttosto che di “disobbedienza”, dice Antonella Soldo di Meglio Legale ai microfoni di Radio Radicale, sarebbe più giusto definire di “affermazione civile”, perché nata in risposta a una sentenza della Corte di Cassazione in cui si statuisce che la coltivazione casalinga, attraverso l’utilizzo di strumenti rudimentali, «non costituisce reato». Una sentenza pronunciata nel dicembre 2019, che, di fatto, configura una sovrapposizione di giudizi tra giurisprudenza e legge.

Perché #IoColtivo, perché disobbedire

Dal 20 aprile, data dal forte significato simbolico nel mondo dell’antiproibizionismo, sono più di 100mila i contenuti postati sui social con l’hashtag #IoColtivo. Non essendoci una data di fine, chiunque voglia può ancora prender parte a questa silenziosa manifestazione di affermazione civile. Il raggiungimento della maggiore età, una sola piantina coltivata e la volontà di render pubblica la propria partecipazione, pur con la consapevolezza delle possibili conseguenze sul piano penale, sono le uniche condizioni poste dalle associazioni organizzatrici. Meglio Legale ha disposto, inoltre, la possibilità di ricorrere all’assistenza legale gratuita per chiunque dovesse incorrere in sanzioni o denunce.

Fonte immagine: Italia24hNews

Ma è davvero opportuno riportare questa discussione sulla cannabis adesso, in piena crisi, economica oltre che sanitaria, da Covid-19?

Sì. E per diversi motivi.

Meglio Legale ha stimato che, ad oggi, in Italia sono circa centomila le persone che hanno deciso di coltivare autonomamente una piantina di cannabis, inserendosi in un trend dalla crescita costante: viene riportato infatti che, dallo scorso anno, il numero di coltivazioni casalinghe – attraverso strumenti rudimentali e per il solo uso personale, così come descritto dalla Corte di Cassazione – sia aumentato, dall’anno precedente, del 94%. Quasi raddoppiato in soli 12 mesi.

La motivazione più ricorrente nella scelta della coltivazione casalinga, accanto a un risparmio e una contezza sulla qualità delle piantine, risiederebbe nella volontà di non relazionarsi con la criminalità organizzata.

Il primo motivo per riaprire il dibattito sulla depenalizzazione è pertanto chiaro: intervenire sul binomio commercio di cannabis-criminalità organizzata, negandole una cospicua parte di guadagni. Mafia, camorra, ‘ndrangheta detengono, ad oggi, il monopolio di un commercio ben avviato, regolato da proprie leggi e propri meccanismi. Un commercio illegale, sommerso, ma tenace e robusto. Se l’unica soluzione è stata finora il proibizionismo, appare opportuno chiedersi quali effetti abbia prodotto in passato e, soprattutto, in una società a forte spinta capitalista, quanto sia fattibile eradicare un mercato tanto fiorente quanto quello della coltivazione e del consumo della cannabis.

A tal proposito Antonella Soldo, nella sua intervista a Radio Radicale per #IoColtivo, tratteggia uno scenario dai contorni ben chiari: «Le mafie non hanno problemi di liquidità in questo periodo. La criminalità organizzata rimpingua le sue casse proprio con la vendita degli stupefacenti, tra cui anche la cannabis». Il rischio – che determina l’urgenza di interloquire ora, in questo momento storico, con il Parlamento – è proprio quello di lasciare campo libero alle mafie che, col potere del denaro e l’efficienza del malaffare, potrebbero consolidare la propria sostituzione nei confronti dello Stato. Perché le mafie non hanno problemi di liquidità e offrono soluzioni più veloci della lenta e farraginosa macchina statale.

Del medesimo avviso anche il consigliere regionale Michele Uselli, membro delle commissioni Antimafia, Attività Produttive, Sanità e Carcere che, da qualche giorno, si è unito alla campagna #IoColtivo.

Intervenuto sul Fatto Quotidiano il consigliere ha, sinteticamente, tracciato le connessioni e i benefici che, multidisciplinarmente, porterebbe la legalizzazione della cannabis: dalla lotta alla criminalità organizzata, togliendole introiti del volume di 30 miliardi, alle attività produttive, che potrebbero rinvigorire mercati dimenticati o in crisi; dal risparmio delle spese della magistratura, alla sanità, in grado di rispondere concretamente alla domanda di cannabinoidi a scopo terapeutico.

A chiedere una regolamentazione coerente e organica di una materia già depenalizzata dalla giurisprudenza, dunque, non è, come la si vorrebbe raccontare, solo una ben nota parte politica né tantomeno le sole associazioni progressiste o i centri sociali. Disciplinare questa materia sarebbe un’azione di politica pura, peraltro economicamente espansiva.

L’iniziativa #IoColtivo non chiede certo di legalizzare ogni sostanza stupefacente, vale la pena specificarlo, ma solo di riorganizzare e rendere coerente una legislazione caotica e schizofrenica, interloquendo con un Parlamento che non è in grado (o non vuole) trovare un equilibrio tra giurisprudenza e legge di Stato.  

Tale sovrapposizione di giudizi è stata accolta e denunciata anche dal mondo politico: Riccardo Magi (+Europa) ha sin da subito aderito a #IoColtivo, coinvolgendo alcuni dei colleghi dell’intergruppo parlamentare per la legalizzazione della cannabis, e così anche il Senatore Matteo Mantero (M5S).

«Stato spacciatore!»

Proprio Mantero era già balzato agli onori della cronaca (social e non) nel tentativo di regolamentare l’annosa materia della cannabis legale. Il cosiddetto “affare Mantero” che, tra emendamenti scomparsi e poi approvati, consente la vendita dell’infiorescenza della canapa con una soglia di THC pari o inferiore allo 0,5%, risale a poco più di sei mesi fa.

La vicenda, controversa e dai numerosi buchi narrativi tanto da determinare una sorta di legalizzazione a intermittenza del commercio pubblico della cannabis, prende avvio nel 2016: l’entrata in vigore della legge 242/2016 sulla coltivazione della cannabis sativa L incoraggia l’apertura di numerosi canapa shop e l’imbastimento di un settore economico pronto a decollare.

L’espansione è costretta a interrompersi per una sentenza della Cassazione dello scorso luglio in cui si statuisce che, mentre la coltivazione di cannabis sativa L è consentita con le condizioni descritte dal testo, la commercializzazione di fiori, infiorescenze, oli e resine della stessa varietà di canapa configura, al contrario, un illecito.  

Fonte immagine: Open.online

Nel dicembre 2019 il Senatore Mantero presenta due emendamenti per mettere ordine nel marasma della produzione e commercio della cannabis con concentrazione di THC al di sotto dello 0,5%, che però vengono ritirati per mancanza di parere favorevole in maggioranza o, a detta dei più maliziosi, per evitare facili assist propagandistici a Capitano & ciurma.

Dopo settimane di lavori, Mantero riesce a far inserire nella legge di Bilancio un emendamento (il “meno ambizioso”, commenta lui) che stabilisce, una volta per tutte che sotto lo 0,5% di THC la canapa non può essere considerata sostanza stupefacente, facendo riprendere fiato ai quasi tremila imprenditori costretti da diatribe ideologiche a mantenere l’equilibrio sull’orlo del precipizio.

Per fare chiarezza, quello della cannabis legale sarebbe un settore economico, secondo il Sole24Ore, in grado di valere fino a 30 miliardi e capace di creare dai 40 ai 60 mila posti di lavoro. Un’opportunità per un Paese sull’orlo del tracollo finanziario, giusto?

Invece no.

Sebbene non vi siano comprovati motivi ostativi alla formulazione di una disciplina ad hoc che liberi da ogni giogo, morale quanto legislativo, la cannabis, l’Italia, piuttosto che destarsi, si arresta per mancanza di coraggio e risolutezza nel cercare una sintesi politica. L’iniziativa #IoColtivo chiede che si riaccenda il dibattito, una volta per tutte, sulla cannabis. In Parlamento, così come nei comparti produttivi.

La scelta è comunque dicotomica: eradicare un tabù per innescare un nuovo circolo economico virtuoso, oppure chiudere gli occhi, voltarsi dall’altra parte e concedere, ora alla giurisprudenza, ora alla criminalità organizzata, di sostituirsi allo Stato.  

Edda Guerra

Classe 1993, sinestetica alla continua ricerca di Bellezza. Determinata e curiosa femminista, con una perversa adorazione per Oriana Fallaci e Ivan Zaytsev, credo fermamente negli esseri umani. Solitamente sono felice quando sono vicino al mare, quando ho ragione o quando mi parlano di politica, teatro e cinema.

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