A ridosso di due date significative per il dibattito sul fine vita in Italia, abbiamo raggiunto telefonicamente Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, per discutere del testamento biologico, dell’eutanasia e del diritto all’autodeterminazione.
Domani, mercoledì 13 dicembre, avrà difatti luogo la terza udienza del processo a Marco Cappato, mentre giovedì 14 dicembre il Senato voterà il disegno di legge sul testamento biologico.
Facciamo luce su queste tematiche e sull’importanza della settimana corrente attraverso l’intervista che segue.
Partiamo dal DDL sul testamento biologico. Il voto è stato fissato per giovedì prossimo, ma gli emendamenti presentati sono 3005. Cos’è che ancora non convince?
«Il disegno di legge è molto semplice, trasforma in legge quello che è già riconosciuto dalla giurisprudenza, in particolare nei casi Welby, Englaro e Piludu: ciascuno di noi ha già il diritto, garantito dalla Costituzione, a rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, anche qualora questo rifiuto dovesse portare al decesso. Per estensione, c’è il diritto di farlo anticipatamente in visione di un domani dove potremmo non essere in grado di intendere e di volere, e ciò attraverso un testamento biologico. Il succo della legge è questo.
Le contrarietà sono contrarietà di ordine, diciamo così, ideologico, cioè che ci sia un interesse superiore a quello della libera scelta individuale e che quindi, a vario titolo, il medico o altri soggetti possano ostacolare le scelte dei malati. Quindi gli emendamenti in realtà sono tutti emendamenti ostruzionistici perché, essendo arrivati alla fine della legislatura, è chiaro che se anche uno solo di questi emendamenti passasse, la legge dovrebbe tornare alla Camera; alla Camera però non ci sarebbe più tempo, perché la legislatura è finita, e quindi la legge sarebbe affossata. Di conseguenza, giovedì la legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (il testamento biologico) o passa o è affossata, anche se passasse uno solo di questi emendamenti.»
Proprio in relazione all’ostruzionismo, si è parlato molto anche di eutanasia, come se questo disegno di legge sul testamento biologico fosse in realtà l’anticamera alla legalizzazione dell’eutanasia.
«Allora, “eutanasia” anzitutto non è una brutta parola, ma significa morire bene, cioè nell’unico modo in cui si possa morire bene: senza soffrire e con modalità corrispondenti alla propria volontà e alla propria scelta, senza subire una condizione di agonia che non si vorrebbe subire.
Se intendiamo invece il termine eutanasia in senso stretto – l’intervento attivo di un medico o attraverso una somministrazione di un farmaco letale o anche la modalità dell’assistenza alla morte volontaria, come in Svizzera –, questa legge non prevede questa possibilità. Questa legge prevede soltanto le possibilità che riguardano la rinuncia a terapie ed eventualmente la sedazione profonda per evitare che la sospensione delle terapie possa portare dolori aggiuntivi alla persona.
Non è quindi una legge – e io aggiungerei “purtroppo” – che ci porta già a una situazione come quella del Belgio, dell’Olanda, del Lussemburgo, della Svizzera, ma è comunque un passo avanti importante nella direzione del rispetto della volontà dei malati.»
Certo. Immagino che, approvato questo disegno di legge, l’auspicio sia quello di riprendere l’altro DDL che è in attesa da quattro anni, quello specifico sull’eutanasia.
«Esatto. Ovviamente, di quel disegno di legge si parlerà nella prossima legislatura. Inoltre si può essere, come tanti sono, a favore della legge sul testamento biologico e non essere a favore della legge sull’eutanasia, questo però è un argomento che si sposta alla prossima legislatura.»
La sua azione di disubbidienza civile ha trovato il supporto soprattutto delle persone. A suo avviso, quanto influirà l’esito del suo processo sul dibattito relativo al fine vita nelle aule parlamentari?
«È già stata determinante la scelta di Fabo, e prima di lui di Dominique Velati, di Max Fanelli, ma ancora di Welby, di Englaro. Per l’opinione pubblica sono state determinanti quelle persone che, anche con l’aiuto dell’Associazione Luca Coscioni, hanno deciso di combattere pubblicamente la propria battaglia per l’autodeterminazione e per la libertà di scelta. Negli anni, nonostante l’assenza di un vero dibattito politico e mediatico sui grandi canali di informazione, la gente ha riconosciuto in quelle storie il proprio vissuto personale e quindi si è consolidata la convinzione dell’importanza di quelle leggi. L’ultimo episodio, relativo appunto a Fabo e al processo che è seguito alla mia autodenuncia, ha reso ancora più evidente l’insufficienza di leggi che addirittura minacciano condanne fino a dodici anni di carcere per chi aiuta una persona a morire.»
Insufficienza?
«Insufficienza perché in queste leggi del codice penale del 1930 non si distingue l’aiuto che si può dare a una persona malata terminale sottoposta a una sofferenza insopportabile o a una malattia irreversibile. Questo si spiega col fatto che nel 1930 non c’erano gli attuali dispositivi medici sanitari per prolungare la vita così tanto, quindi non esistevano i malati terminali nel numero e per il lungo periodo in cui esistono oggi. Ecco perché è diventato evidente a tutta la società l’urgenza di poter aiutare queste persone a realizzare la propria volontà; diciamo che il Parlamento italiano è forse l’ultimo posto in cui questa evidenza è maturata, ciò soprattutto nelle segreterie dei partiti, perché tanti parlamentari si sono invece battuti per questo obiettivo. Forse stiamo arrivando almeno a questo primo risultato, naturalmente staremo a vedere quello che accadrà giovedì.»
Intervista a cura di Rosa Ciglio