Studio Ghibli su Netflix
Fonte immagine: nerdmovieproductions.it

L’annuncio, recapitato lunedì scorso attraverso i canali social, è di quelli che concretizzano speranze così ardite da non aver neppure il coraggio di esprimerle: a partire dal prossimo 1° febbraio, e per i successivi due mesi, sarà finalmente realizzato il sogno di trovare lo Studio Ghibli su Netflix, nel catalogo del colosso dello streaming californiano.

Ventuno titoli, centellinati nell’arco dei prossimi tre mesi, per suggellare un sodalizio che abbonati e appassionati desideravano forse da sempre. Com’è possibile che non sia accaduto prima? La risposta è da cercarsi nella parsimoniosa cautela con cui lo studio d’animazione giapponese ha storicamente gestito i diritti delle proprie opere. Ma a quanto pare l’evoluzione del mercato, con il consolidato predominio dello streaming fra le soluzioni scelte dai consumatori, ha posto di fronte a una necessità tanto anelata quanto indifferibile. E così lo Studio Ghibli su Netflix sarà presto realtà in Europa, Africa, Asia e America Latina (ma non negli Stati Uniti, in Canada e in Giappone, dove a detenere i diritti sono altri operatori, fra cui HBO). Una buona, anzi un’ottima notizia, probabilmente.

Chi conosce i lavori della casa giapponese, fondata a Tokyo nel giugno 1985 dalle geniali menti di Hayao Miyazaki, Isao Takahata, Toshio Suzuki e Yasuyoshi Tokuma, non avrà certo bisogno di vedersi sottolineata l’importanza di questo accordo. Ma rendere disponibile al grande pubblico un catalogo di titoli che, pur essendo acclamati e osannati, sono rimasti fino ad oggi essenzialmente “di nicchia”, potrebbe sparigliare il sentiment di mercato e i gusti degli spettatori. D’altronde i film di animazione vengono troppo spesso e con superficiale snobismo bollati come prodotti per l’infanzia, intrattenimento per bambini: il che è senz’altro vero, ma anche profondamente parziale e limitante.

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I lavori dello Studio Ghibli, lungi dall’essere categorizzabili sotto un genere univoco, rappresentano invece pietre miliari della cinematografia d’animazione. Come impellenti scorci d’arte tratteggiati con vivido distacco creativo sanno assemblare e disassemblare mondi alternativi, microuniversi perfettamente coerenti nella loro apparente assenza di organicità, corpi di una narrazione indubitabile quanto sfuggente, eterea. Come assoli di un’orchestra che ruba la scena di un concerto sanno accompagnare, sottolineare, esaltare la fugacità di un eterno reso tale dalla memoria collettiva, senza mai alterare i toni o tradire uno spartito che sembra composto nell’ancestralità del sogno. Come brandelli di emozioni spettinate pronti a spiccare il volo alla prima folata di vento sanno insinuarsi e incunearsi ben più in là della ragione e dell’attenzione, cogliendo le profondità remote dell’animo umano in ogni suo più metaforico anfratto, fondale, abisso.

Il mondo ghibliano diviene così pulpito e palpito di una diversa, parallela narrazione della verità: quella cinematografica che si avvinghia e si avviluppa a quella scenica e a quella inconscia. I capolavori firmati dal maestro Miyazaki e dai suoi colleghi hanno saputo raccontarci con serissima leggerezza ambienti e personaggi che rappresentano un unicum artistico. Studio Ghibli su Netflix significa ritrovare la valorosa principessa Mononoke, la spavalda Nausicaa della Valle del Vento, la laboriosa Kiki e le sue consegne a domicilio, l’ingenua Sen nella Città Incantata, la minuscola Arrietty con la sua voglia di scoprire il mondo, l’amicizia fuori dal tempo fra Anna e Marnie, e ancora il pigro Totoro alla fermata del bus, il pilota Marco Pagot con il suo “meglio porco che fascista”, e gli intricati meccanismi del Castello errante di Howl.

Sen e Senza Volto ne La Città Incantata
[fonte immagine: screenrant.com]

Nella preponderanza di personaggi spesso femminili e quasi sempre giovanissimi possiamo ritrovare la genuinità dell’innocenza e le infinite capacità di una purezza d’animo alle prese con “i mostri” del mondo reale – talmente reale da non sembrarlo affatto, ma anche la volontà di superare stereotipi e peculiarità del prototipo di protagonista, banalmente incarnato dal maschio adulto nelle vesti dell’eroe. Così, destrutturando i canoni della tradizione, affidandosi a scenari bucolici o rurali, spesso minacciati dalla guerra o dal conflitto incombente, lo Studio Ghibli ha saputo crearne di suoi propri e settare un nuovo riferimento attraverso standard qualitativi che sono poi diventati paragone e ispirazione per i competitor del settore.

Non c’è dubbio: che lo Studio Ghibli su Netflix rappresenti la rivoluzione dell’ovvio, nonché la più ovvia delle rivoluzioni, è dato certo. Tuttavia un dubbio insiste, ed è legato all’adattamento del doppiaggio che la casa di Los Gatos saprà rendere dei titoli in catalogo. Uno sforzo immane, quello di doppiare in venti e sottotitolare in ventotto lingue diverse, i cui esiti potrebbero non rendere giustizia alla pregnanza degli originali. È ancora presto per esprimersi, tuttavia i precedenti non sono confortanti: l’augurio è quindi che Netflix sappia rendere onore all’immensa opportunità ricevuta e non commettere errori che potrebbero risultare fatali quanto far arrabbiare Senza Volto.

Emanuele Tanzilli

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