A distanza di 13 anni, la Spagna torna ad essere vittima del terrorismo in Europa.
Due le città 
colpite nel giro di due giorni: a Barcellona, sulla Rambla, un furgone bianco ha travolto la folla causando 15 morti ed oltre 100 feriti. Successivamente, seguendo la medesima modalità d’attacco, un’auto ha travolto dei civili che passeggiavano sul lungomare di Cambrils, a circa 120 km da Barcellona.

Giornate difficili per il continente, che tra giovedì e sabato è stato colpito su più fronti: non soltanto in Spagna, ma anche in Finlandia e  in Russia, dove il terrorismo di matrice jihadista, rivendicato dall’ISIS, ha provocato numerose vittime.

L’Europa sprofonda nell’ansia di una nuova ondata di terrorismo in cui il Marocco, secondo esportatore di jihadisti dopo la Tunisia, gioca un ruolo cruciale. Di origine marocchina, infatti, erano i fautori degli attentati di Barcellona e in Finlandia.

Nella città catalana di Ripoll, secondo fonti dell’antiterrorismo, è stata rinvenuta una cellula composta da 12 marocchini collegata agli ultimi avvenimenti nella penisola iberica. Inoltre, di origine marocchina erano molti dei jihadisti che hanno colpito Bruxelles e Parigi. Degno di nota è, infatti, l’impegno dell’ISIS in Marocco, dove persuasori si approcciano ai giovani offrendo loro denaro in cambio del loro arruolamento alla causa jihadista.

«Le statistiche mostrano che oltre i tre quarti dei terroristi marocchini in Siria e di quelli che si sono poi trasferiti in Europa provenivano da zone emarginate, il che conferma il fatto che non ci sono solo motivazioni ideologiche ma che queste si sono radicate su sentimenti di frustrazione e rabbia generalizzata», chiarisce al proposito il sociologo del Carnegie Middle East Center di Rabat Mohammad Masbah.

Una rabbia, spesso, sviluppatasi in corrispondenza di difficoltà d’integrazione a più livelli.
È proprio per questo che di fronte al dilagante accrescimento delle politiche di chiusura delle frontiere che investe l’Europa in risposta alla violenza del terrorismo è bene tenere a mente la posizione adottata dalla sindaca di Barcellona, Ada Colau, e da un’ampia fetta del popolo spagnolo. Schierati contro la chiusura delle frontiere ed i risentimenti, agli attacchi subiti hanno risposto con solidarietà verso migranti e rifugiati per contribuire ad una loro migliore integrazione nella società europea.

Una società, quest’ultima, sempre più complessa, nella quale il terrorismo da un lato unisce, creando un senso di solidarietà tra i cittadini d’Europa, dall’altro, ad un occhio attento, attrae un numero sempre maggiore di giovani. Sembra, infatti, chiara la nascita di un terrorismo europeo di matrice radicale in cui la modalità d’attacco consolidata è l’uso di un veicolo sulla folla. I giovani jihadisti, inoltre, non sembrano identificabili sotto un unico profilo tranne che per un tratto comune: la disillusione nei confronti dell’Europa, sotto il profilo dell’integrazione sociale o/e dell’offerta lavorativa.

La ricerca di un’efficace soluzione al jihadismo d’Europa potrebbe, allora, partire proprio da loro: i giovani e la loro educazione. Interessante, a tal proposito, è la proposta di leggemade in Italy” approvata dalla camera il 18 luglio 2017 riguardante le Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista, principalmente orientate verso la creazione di un’offerta formativa fondata sulla valorizzazione dell’educazione interculturale. Previsto all’art.2, inoltre, è il recupero di soggetti affiliati ad organizzazioni di matrice terroristica attraverso fondi europei del Radicalisation Awareness Network, messi a disposizione del centro nazionale sulla radicalizzazione.

Ad ogni modo, però, non bisogna dimenticare che alla questione culturale deve seguire un rafforzamento repentino della cooperazione nel campo giudiziario e della sicurezza.
Difatti, nonostante i recenti sforzi dell’Unione Europea nella lotta al terrorismo, come la recente direttiva 2017/541, nella quale si qualificano come reato «atti intenzionali, definiti reati in base al diritto nazionale che, per la loro natura o per il contesto in cui si situano, possono arrecare grave danno a un paese o a un’organizzazione internazionale», il jihadismo in Europa sembra ancora occupare una posizione di vantaggio contro i sistemi di sicurezza del circuito europeo operanti al livello nazionale.

In forza di ciò, è possibile dedurre, dunque, che maggiori investimenti nel campo dell’intelligence sharing contribuirebbero ben più ampiamente ed efficacemente alla lotta a questa nuova forma di terrorismo, che si sviluppa sempre più sotto il profilo di minaccia asimmetrica, non sempre di facile prevedibilità e, soprattutto, priva di un unico nucleo d’azione, il che ne impedisce l’immediata rintracciabilità.  

Ginevra Caterino

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