Hanya Yanagihara è una scrittrice di origine hawaiana che ha scritto quello che ormai è diventato un best-seller della letteratura mondiale: “Una vita come tante” (titolo originale “A Little Life”). Una storia intensa, crudele, una vita che non è come tante – nonostante gli sforzi del protagonista.
Una vita come tante – La trama
Questa è la storia di 4 ragazzi, 4 amici che studiano e vivono insieme in una New York affollata di idee e di persone: c’è Willem che vuole fare l’attore, JB che sogna di diventare un artista di fama mondiale, Malcolm architetto frustrato e infelice in un prestigioso studio. E poi c’è Jude, il protagonista, il centro di gravità della storia e delle vite, avvocato brillante e super riservato. Di Jude si sa nulla: arriva al college senza avere una famiglia, senza una vera identità, e con il segreto della sua disabilità. Dei suoi tre amici ci viene sin da subito riassunta la vita, l’infanzia e la giovinezza, mentre Jude è e rimane per lungo tempo un enigma. Ascolta, consiglia, è un ottimo studente e un ottimo amico, non pare interessato ad avere relazioni romantiche e non dichiara il suo orientamento sessuale. Ha un danno alla spina dorsale e occasionali dolori alle gambe che sono la conseguenza di un incidente stradale, racconta. Per lui gli amici hanno una cura estrema e particolare, rispettano ogni sua reticenza nel dire di più sulla sua vita, e proprio intorno a questa vita tenuta nascosta si costruisce il racconto.
Yanagihara ci trascina nelle vite dei 4 protagonisti, e piano piano sviluppa l’enigma del personaggio di Jude St Francis, illuminato dalle descrizioni che ne fanno gli amici. A partire dalla seconda parte del romanzo la trama si focalizza sulla sua storia: un romanzo che doveva parlare del potere salvifico delle presenze, delle amicizie e dell’amore nella vita delle persone diventa una serie di flashback per spiegare chi è Jude: una persona a cui viene inflitta una quantità di dolore insopportabile e insostenibile per chi legge, che empatizza con questo dolore, lo fa suo, lo mastica, lo digerisce, lo riconosce come suo perché in fondo ognuno di noi ha vissuto il male. Hanya Yanagihara pagina dopo pagina ci abitua alla chimica del dolore, non fa alcunché per alleggerire la sofferenza di Jude, i suoi traumi, il suo destino pare quello di un Cristo in croce che sta espiando chissà quali peccati. E chi legge non riesce a staccarsi, ha bisogno di sapere, ha bisogno di capire e indagare, sull’essere umano carnefice e sull’essere umano vittima, su come chi fa parte delle vite altrui può contribuire a salvare e curare una parte di quella vita. Yanagihara non cede alla costruzione di una felicità fittizia, ci porterà ad avere il cuore in gola fino al finale straziante.
Yanagihara è riuscita a descrivere un personaggio complesso come Jude senza portarci a provare pietà – o pena – per lui. Il racconto della sua vita, la sua storia di abusi, è un pretesto per indagare sugli strascichi dell’abuso: il suo obbiettivo è quello di narrare un dolore che lascia il lettore senza respiro, perché è così intenso e così magistralmente descritto che non lascia scampo, non permette distrazioni, e allora arriva il dolore fisico autoinflitto – che dovrebbe lenire il male interiore – ma nulla riesce a restituire un po’ di pace a questo protagonista così disperato e contemporaneamente così lucido. Jude è definito nella sua condizione di vittima, e nonostante gli sforzi più o meno consapevoli non riesce a smarcarsi da questo suo status.
Non si può parlare di questo romanzo senza parlare del potere salvifico dell’amore e dell’amicizia, ma sarebbe riduttivo definirlo solo in questi termini. Questo romanzo è un’indagine accurata delle contraddizioni dei rapporti umani, delle difficoltà di aprirsi al mondo, di come l’essere umano sia egocentrico, spesso cattivo e violento, di come l’amicizia non sia sempre e solo affetto e comprensione, ma anche paura di raccontarsi, e ciò ci porta a indossare una maschera che possa proteggerci dalla delusione dell’incomprensione.
Questo è un romanzo che parla di uomini e lo ha scritto una donna: a differenza di altre letterature in cui il maschio viene descritto come semplicemente meschino e ancorato a determinati cliché, Hanya Yanagihara dà loro una sensibilità e una profondità a cui forse non siamo abituati; anche l’accettazione di una sessualità fluida non è vista come emancipazione, ma come esperienza per conoscere sé stesso e accettarsi. L’amore viene approfondito nella sua forma universale: un tentativo, forse disperato, di trovare pace in una vita da cui bisogna guarire. Non scappare. O almeno, tentare di affrontarla al massimo delle nostre possibilità. Accettarne l’imperfezione, anche se il dolore è folle e non ha alcun valore taumaturgico. Una piccola vita, una vita come tante: non è speciale, è semplicemente vita. E anche se qui la sofferenza non è ordinaria, i protagonisti fanno di tutto per aiutarsi e continuare a crescere insieme.
Una vita come tante è un libro difficile, è un libro crudele, un viaggio straziante nelle emozioni e nel dolore dove il narratore non è affatto caritatevole e, anzi, ti spinge al limite delle tue possibilità per riuscire a superare un trauma. Un romanzo indimenticabile.
Valentina Cimino
Ecco, recensione impeccabile. È esattamente quello che si prova con la lettura di questo romanzo. Lascia il segno.