Riprendiamo il nostro percorso, con la rubrica Napoli: Miti e Leggende, alla riscoperta dei personaggi, luoghi e tradizioni più misteriosi che caratterizzano l’universo culturale partenopeo. Per chi non avesse letto la prima parte de Il Principe di Sansevero, di seguito il link diretto alla relativa pagina: Il Principe di Sansevero (parte prima)
Emblema del suo estro, fantasioso ed al contempo inquietante, è la tomba dell’antenato Cecco di Sangro, che con l’elmo in testa e la spada in pungo balza fuori dal suo sepolcro. In fatto di sculture, però, il capolavoro assoluto della Cappella è il Cristo Velato del Sammartino: sul corpo appena deposto dalla Croce, è scolpito nello stesso blocco un velo sottilissimo che fa trasparire in modo straordinario i tratti del viso, la muscolatura del corpo e perfino i fori fatti dai chiodi su mani e piedi.
La leggenda narra che la magia del Principe aveva reso possibile la realizzazione di quest’opera unica in poco più di due mesi, in barba agli esperti moderni i quali sostengono che una tecnica così raffinata richiede molti anni di lavoro, ma non è finita qui. Il mistero si è infittito ancor di più, da quando in un archivio napoletano è sbucato fuori un contratto siglato tra il Principe e lo scultore, secondo cui: il Sammartino avrebbe scolpito il Cristo ma il velo, impregnato di una soluzione di sottilissima polvere di marmo, l’avrebbe fornito il Principe, in seguito lucidato dallo scultore in modo tale da farlo apparire tutt’uno con la statua.
A questo punto una domanda sorge spontanea: e se il contratto fosse falso e il Principe avesse voluto confondere le idee a chi cercava di esaminare il suo lavoro? Conoscendo il suo spirito beffardo, la cosa è tutt’altro che da escludersi. Del resto era tipico di Raimondo mescolare realtà e fantasia, per custodire i suoi segreti dei quali era geloso come un alchimista medievale.
Più alimentava il mistero che lo avvolgeva, più cresceva la sua fama di stregone, soprattutto nel popolo, che ben presto si convinse che Raimondo avesse fatto un patto col diavolo per scoprire e piegare al suo volere le leggi della natura. Si dice che dietro i finestroni del pian terreno ci fossero delle fiamme infernali, che vapori di zolfo ristagnassero nella stradina e che pesanti martelli scuotevano il selciato come per il tremolante passaggio di carri invisibili. Di generazione in generazione, la leggenda del Principe di Sansevero si insediò come parte integrante della tradizione, tant’è che i padri raccontarono ai figli storie tenebrose riguardanti quello che per il popolo divenne semplicemente ‘O Principe.
Per amore della scienza, si comportava con crudeltà, come quando fece uccidere due servi, un uomo e una donna, per imbalsamarne i corpi, in modo che attraverso lo scheletro mostrassero alcuni organi e la rete completa del sistema circolatorio, marmorizzati o metallizzati secondo un procedimento segreto. Questi corpi, ritenuti da alcuni delle macchine anatomiche, ovvero abili riproduzioni di parti del corpo umano, si possono vedere ancora oggi nella Cappella e sono uno dei tanti misteri lasciati insoluti da uno dei Principi più controversi di sempre.
Anche la morte di Raimondo è avvolta nella leggenda. Come ogni mago che si rispetti, anche lui avrebbe cercato di sfuggire alla morte: con l’aiuto del demonio e dalla chimica infatti, secondo la tradizione, preparò un sortilegio in modo tale da morire per poi risuscitare dopo qualche mese. Affinché nessuno disturbasse l’incantesimo, allontanò la sua famiglia mandandola a Sansevero e, poiché la sua morte temporanea doveva durare nove mesi, lasciò a uno schiavo moro l’incarico di mandare ai suoi delle lettere che aveva già preparato, in risposta a quelle che avrebbe ricevuto e delle quali, sempre per magia, già conosceva in precedenza il contenuto. Poi, facendo credere che era partito anche lui, dopo aver dato tutte le istruzioni al suo diabolico aiutante, si fece tagliare a pezzi e mettere in una cassa, dalla quale sarebbe risuscitato con il dono dell’immortalità. Lo schiavo, però, commise uno sbaglio e la moglie e i figli, insospettiti da una lettera che rispondeva a domande che non avevano ancora fatto, tornarono a Napoli, costrinsero lo schiavo a confessare il mistero, trovarono la cassa nella quale il corpo del Principe si stava già rinsaldando per una nuova vita, e la scoperchiarono prima del tempo. L’incantesimo si ruppe e il Principe, come svegliandosi da un lungo sonno, fece per sollevarsi e uscire dalla bara ma, gettando un urlo da dannato, ricadde all’indietro, definitivamente morto.
Il Principe di Sansevero: la vita dopo la morte
Sarebbe riuscito davvero a tornare in vita Raimondo se tutto fosse andato per il verso giusto? È improbabile, ma i napoletani sono convinti che col Principe non si poteva mai esser certi di nulla e inoltre, aggiungono, il suo corpo non è stato mai ritrovato.
In ogni caso, un personaggio del genere non può mai morire del tutto, fosse anche solo per il fatto che dopo la sua presunta morte fisica continua a vivere in bilico tra storia e leggenda. Ancora oggi alcuni sostengono che nel vicolo dove si erge il palazzo di Sangro, nel cuore della notte si odono tintinnii di speroni e passi, che si fanno sempre più vicini fin quasi ad attraversare chi li sente, per poi lentamente allontanarsi; alcuni dicono che nella notte di Natale si intravedono fiamme di ceri dai finestroni della Cappella e si sente la musica ultraterrena di un organo.
Precede: Il Principe di Sansevero (parte prima)
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Fabio Palliola