Nei pressi del Centro Storico di Napoli, precisamente alle spalle di San Domenico Maggiore, nel luogo dove si dice che un tempo sorgesse il tempio della dea egiziana Iside, c’è via Francesco De Sanctis, uno dei luoghi più inquietanti e ricchi di fascino della città. In questo vicolo stretto e buio si trovano la Cappella Sansevero e il palazzo che fu di Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero: il misterioso e straordinario scienziato che nella tradizione popolare è unito in modo indissolubile alla sua Cappella.
Costui nacque nel XVIII secolo, epoca che vide il trionfo delle scienze e della ragione, in una Napoli dove pratiche magiche e credenze superstiziose si sovrapposero tra loro. Se in questa realtà contraddittoria inseriamo la fervida immaginazione, la curiosità sconfinata, lo spirito ironico e la cultura del Principe, capiamo come possa venirne fuori una miscela esplosiva. In Raimondo la chimica e l’alchimia, la fisica e la magia, la storia e la leggenda si intrecciano in modo così inestricabile che, ancora oggi, la sua figura resta avvolta da un alone di mistero.
Il Principe di Sansevero e l’impercettibile confine tra storia e leggenda
Il primo segno, nell’animo fantasioso del Principe, lo lasciò la casa stessa dove abitava e che era definita il Palazzo Maledetto, a causa di un grave omicidio di oltre un secolo addietro: Carlo Gesualdo, principe di Venosa, colto da un’irrefrenabile gelosia, vi uccise la moglie Maria d’Avalos. Di questa storia drammatica si impadronì la fantasia popolare, tant’è che, nonostante il palazzo fosse ormai disabitato, agli abitanti della zona sembrò di udire il grido angoscioso ed echeggiante della bella Maria, rincorsa e pugnalata dal marito. Il palazzo acquistò una fama così sinistra che, circa tre secoli dopo, quando crollò un’ala dell’edificio, il popolo pensò che la rovina fu conseguenza non solo del delitto che vi era stato commesso, ma anche degli esperimenti diabolici di Raimondo.
Il Principe, vero e proprio vulcano di idee, passava gran parte del suo tempo nei sotterranei del palazzo, che divennero, tra pratiche alchemiche e strani macchinari, il suo laboratorio. L’amore per le scienze e la sua creatività lo portarono ad espandere sempre più i suoi già vasti interessi, creando strani marchingegni e nuovi strumenti mai visti prima: regalò a Re Carlo III, estimatore della sua inventiva, una versione perfezionata dell’archibugio già esistente; ideò un cannone leggerissimo con gittata superiore a quelli tradizionali; assemblò una macchina idraulica per il sollevamento dell’acqua senza necessità di energia alcuna; fabbricò stoffe impermeabili; colori indelebili e tutte cose che insieme a molte altre gli dettero fama. Solo alcune delle sue invenzioni sopravvissero, perché i procedimenti scientifici che ne spiegavano il funzionamento non furono pubblicati, un po’ per la segretezza degli stessi, un po’ perché il Principe era più dedito alla ricerca del massimo effetto nelle scienze, piuttosto che al perfezionamento di congegni già assemblati.
Infatti, quello che più lo entusiasmava era meravigliare il pubblico con trovate spettacolari, sia per divertirsi, sia per, da buon napoletano, prendere in giro chi lo prendeva troppo sul serio. I suoi fuochi d’artificio multicolore e la carrozza con la quale passeggiava sul mare (in realtà era una barca di sughero, cavalli compresi), mandavano in visibilio la Corte e il popolo; quanto al lume perpetuo, alimentato da una sostanza segreta di sua invenzione a base di ossa umane, nessuno lo vide mai. È probabile che anziché essere un’invenzione chimica del Principe, fosse semplicemente una burla per prendersi gioco dei colleghi scienziati.
Dei suoi segreti è piena la Cappella Sansevero alla quale, impegnandovi buona parte delle sue ricchezze, Raimondo dette l’impronta della sua personalità e quello splendore che ancora oggi possiamo ammirare. Per decorarla chiamò un gruppo selezionato di artisti, che diresse durante tutta la durata dei lavori anche grazie al ponticello che all’epoca, scavalcando il vicolo, collegava il palazzo alla Cappella, dal quale trasportava i materiali dal suo laboratorio senza dover uscire per strada. Suggeriva agli scultori idee e soluzioni fantasiose dando alla Cappella quel carattere tutto suo, fatto di bizzarrie e di geniali soluzioni tecniche, che costituiva proprio il fascino e l’originalità tipici del ‘700.
Segue: Il Principe di Sansevero (parte seconda)
Fonte immagine in evidenza: google.it
Fonti immagini media: google.it/il principe di sansevero
Fabio Palliola