Il termine femminicidio è un neologismo che indica i casi di omicidio doloso in cui una donna viene uccisa per motivi di genere.
Sì, proprio così, per motivi di genere: concettualmente si potrebbe considerare l’omicidio come un assassinio, compiuto ai danni di una vittima, indipendentemente dal sesso di quest’ultima. Qui invece entra un altro fattore in gioco: l’assassinio viene compiuto perché la vittima era di quel sesso specifico (in questo caso, femminile).
La parola femminicidio viene utilizzata per la prima volta negli anni ’90, dopo che un’antropologa messicana, di nome Marcela Lagarde, analizzò le violenze perpetuate ai danni delle donne del suo paese, individuandone l’origine nella cultura e nella società, intrisa di machismo e priva di eguaglianza giuridica.
Il binarismo di genere, in una società neoliberale, produce campo fertile per il patriarcato: si sviluppa e si concretizza mediante la costruzione di immagini stereotipate, le quali vengono assorbite dalla società e dogmatizzate. Il ruolo sociale della donna viene, di conseguenza, limitato ad un ambito lavorativo (e non solo) circoscritto; ed ecco che a prevalere è il sesso più forte (quello maschile), legittimato da una struttura sociale che è la sua ragion d’essere.
Dall’inizio del 2018, in Italia, è stata uccisa in media una donna ogni 60 ore (27 in totale). Nonostante il dato sia in lieve calo rispetto agli anni precedenti, il numero dei casi di femminicidio resta comunque alto.
È il caso di Cava de’ Tirreni dove, un po’ di tempo fa, il parrucchiere 49enne Salvatore Siani ha accoltellato la moglie. A Terzigno, invece, un uomo ha ucciso sua moglie davanti alla scuola elementare, frequentata dalla figlia, dopodiché ha deciso di mettere fine alla sua vita, morendo suicida. Tra i due c’era stata qualche discussione, al punto che lei si era trasferita dai genitori, scatenando l’ira del marito.
In provincia di Palermo, invece, la settimana scorsa è stata uccisa una giovane madre di vent’anni; il corpo è stato ritrovato all’interno di un pozzo artesiano dopo che il compagno, nonché omicida, ha avvisato i carabinieri.
Dopo la relazione finale della Commissione di inchiesta sul femminicidio, approvata ai primi di marzo, emerge in ogni caso che in Italia il tasso di omicidi di donne (0,5 ogni 100mila) è più basso di quello di tutti i Paesi. Gli Usa, ad esempio, presentano dei numeri vertiginosi: 4 volte quelli italiani, assieme a Paesi come Lettonia, Estonia, Lituania; il Canada, la Finlandia e la Germania un valore doppio; Grecia, Spagna e Portogallo un valore simile all’Italia.
Ad oggi, in Italia, esiste una legge sul femminicidio? Ebbene sì, risale all’ottobre del 2013: il decreto convertito in legge fu sommerso dalle polemiche, in quanto, per motivi di tempo, non si riuscì ad apportare modifiche al testo del decreto legge dell’agosto dello stesso anno. Degli undici articoli che compongono il provvedimento, poi, sono solo cinque quelli che si riferiscono alla violenza sulle donne, mentre i restanti sei interessano questioni che nulla hanno a che vedere con la tematica in questione: si va dalla sicurezza alle misure contro i No Tav, articoli sulla Protezione civile e sulle Province.
I dati, seppur qualitativamente rassicuranti rispetto agli altri Paesi, restano comunque allarmanti. Evidentemente il problema è nella società, radicato in ogni sua forma ed esplicazione possibile: a partire dal lavoro e arrivando alla famiglia, nucleo essenziale e campo principale di battaglia dei rapporti di potere. Di genere si muore? Nihil ex nihil: nulla viene dal nulla, soprattutto un fenomeno tanto consolidato come il femminicidio. Sviscerare, analizzare e contestualizzare il tessuto politico e sociale del nostro paese potrebbe partorire qualche spunto di riflessione in merito.
E allora cosa manca? Manca la Politica, che dovrebbe farsi garante di queste battaglie.
Da questa instabilità sociale cosa n’è derivato? Un becero qualunquismo che, impadronendosi del dibattito pubblico, l’ha svuotato di contenuti e di una dialettica sana e costruttiva, rendendo le battaglie civili e sociali (come quelle femministe, quelle sul lavoro o sulla sanità) prive di senso.
La società è piatta; la politica è piatta. Non esiste una democrazia pluralista che garantisca la coesistenza di diverse forze sociali o, come direbbe Chantal Mouffe, di una politica basata su forze “antagoniste”: ed ecco che il consenso post-politico non lascia che spazio alla sola alternanza fra il centro-destra ed il centro-sinistra, rappresentanti entrambi di una evidente ideologia neoliberista.
Rosario Madaio